Nella serata di mercoledì 2 giugno è stato annunciato l’accordo tra i principali partiti d’opposizione per formare un nuovo governo israeliano. Se confermata dalla Knesset, l’intesa porrà fine a 12 anni ininterrotti dell’era Netanyahu.
Le trattative di Yair Lapid per formare il nuovo governo israeliano
Dopo più di un mese di trattative, è stato raggiunto un accordo per formare un nuovo governo israeliano. Come i tre tentativi precedenti, anche l’ultima tornata elettorale (la quarta in due anni) non era riuscita ad esprimere una maggioranza solida per guidare il paese. Il presidente Reuven Rivlin aveva quindi affidato un mandato esplorativo a Yair Lapid, leader del partito centrista laico Yesh Atid.
Lapid ha sfruttato tutto il tempo a sua disposizione (il mandato sarebbe scaduto il 2 giugno a mezzanotte) per intessere una delicata e composita rete di alleanze, raggruppando otto forze politiche. I centristi di Yesh Atid e Blu e Bianco, i partiti di destra Casa Nostra, Yamina e Nuova Speranza, i Laburisti, il partito di sinistra Meretz e il partito di arabo-israeliani Lista Araba Unita (Raam). L’accordo prevede che il ruolo di Primo Ministro venga ricoperto per i primi due anni dal leader di Yamina Naftali Bennet, che passerà poi il testimone a Lapid. In un assortimento così vasto che riunisce partiti con ideologie agli antipodi, l’unico fragile collante sembra essere l’opposizione all’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
La fine dell’era Netanyahu?
Con questo accordo si concluderebbe l’era Netanyahu, leader del partito di destra Likud, che per oltre dodici anni ha tenuto in mano le sorti del paese. È certo che l’ex premier non accetterà di ritirarsi con discrezione. Anche perché sa bene che, appena varcata la porta di uscita della residenza del Primo Ministro in Balfour Street, lo attendono diversi processi per corruzione. L’ultima cruenta aggressione alla Striscia di Gaza, dopo le provocazioni a Gerusalemme, rientra probabilmente nella strategia di Netanyahu per restare al potere, mostrandosi come l’uomo forte capace di difendere il paese.
Dobbiamo dunque aspettarci che fino alla conferma definitiva tra una settimana, con l’eventuale fiducia della Knesset al nuovo governo, Netanyahu farà tutto il possibile per far naufragare la coalizione raggiunta a suo danno. Ad esempio puntando sulla defezione dei membri di Yamina, il partito di Bennet. Ipotesi più che credibile considerando che Amichai Chikli, uno dei membri del partito, si era già rifiutato di far parte dell’intesa che comprende forze incompatibili con il suo gruppo, come Meretz e Raam. Netanyahu può inoltre contare sull’appoggio dello speaker del Parlamento Yariv Levin, membro del Likud. Levin ha il potere di posticipare il voto di fiducia al nuovo governo, concedendo a Netanyahu giorni preziosi per operare a danno della coalizione.
Una fragile intesa
Molti analisti hanno avanzato seri dubbi sul fatto che la neonata coalizione possa reggere a lungo, a causa dell’abissale diversità di vedute degli schieramenti coinvolti. Il nuovo governo israeliano comprenderebbe infatti partiti che coprono l’arco politico dalla sinistra all’estrema destra. Uno degli elementi più controversi è la partecipazione di Raam, un partito islamista moderato di cittadini palestinesi con cittadinanza israeliana guidato da Mansour Abbas. Sarebbe la prima volta che un gruppo arabo entra a far parte dell’alleanza di governo di Tel Aviv. Abbas ha affermato la sua volontà di dare rappresentanza a tutti i cittadini di Israele. Ha inoltre sottolineato come la partecipazione del suo partito alla coalizione contribuisca ad accrescere la legittimità degli attori politici arabi. Ma è evidente che i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza non possono non vedere come un tradimento la partecipazione del suo partito a una coalizione con elementi dell’estrema destra israeliana.
Naftali Bennet, da colono a Primo Ministro
Il ruolo di Primo Ministro sarà affidato fino a settembre 2023 a Naftali Bennet, figura a dir poco problematica all’interno del panorama politico israeliano. Bennet è un milionario del digitale e un nazionalista religioso. È stato un leader dei coloni e non solo non ammette la possibilità di creare uno stato palestinese, ma nemmeno quella di restituire le terre occupate illegalmente. Un profilo ontologicamente chiuso al dialogo, considerando che ha affermato di aver ucciso molti arabi e di non avere nessun problema al riguardo.
Bennet è stato alleato di Netanyahu, ricoprendo la carica di Ministro della Difesa del precedente governo. Ma ha recentemente dichiarato che il nuovo governo di coalizione sarà ancora più spostato a destra rispetto a quello del suo predecessore ed ex-alleato. Il partito di Bennet, Yamina, ha conquistato soltanto sette seggi alle elezioni di marzo. Inoltre, secondo un recente sondaggio, il 60% dei suoi elettori non lo avrebbe votato se avesse saputo che avrebbe appoggiato questa coalizione. Questo potrebbe spingere Bennet ad adottare la linea più dura e intransigente durante il periodo in carica come Primo Ministro per mantenere e recuperare consenso.
Il nuovo governo israeliano può contare solo su 61 seggi, il minimo indispensabile per mantenerlo in piedi. L’unica possibilità di mantenere in vita una coalizione così fragile è limitarsi alla regolamentazione di questioni tecniche ed economiche, tralasciando i nodi più spinosi di politica estera. Ed è infatti su questo che Bennet e Lapid si sono accordati, anche se molti commentatori sono scettici sull’assenza di tensioni in un prossimo futuro.
La questione israelo-palestinese peraltro non può essere considerata come un semplice dossier da abbandonare su una scrivania. Dietro questa formuletta da libri scolastici ci sono vite vissute nell’ingiustizia, e spesso indegnamente spezzate. Ma anche una resistenza che ha ben dimostrato di essere tutt’altro che sconfitta e rassegnata. Sarà difficile, se non impossibile, per il nuovo governo israeliano dimenticarsene.
Giulia Della Michelina