Negli ultimi anni, la Nuova Zelanda ha dimostrato in più occasioni di essere fautrice di cambiamento. Ascoltando i bisogni dei propri cittadini e creano una società civile tutelata e supportata. Mentre molti altri stati, tra i quali l’Italia, stanno a guardare.
Per questo, non stupisce troppo che arrivi proprio dalla Nuova Zelanda la notizia dell’approvazione di una legge che concede un congedo pagato in caso di aborto spontaneo.
Secondo questa nuova legge, quindi, alle donne e ai loro partner spettano tre giorni di congedo remunerato dal lavoro. E’ il secondo stato nel mondo ad attuare un simile provvedimento.
Il disegno di legge tra limiti e prospettive
Si chiama Ginny Andersen ed è la deputata labourista che ha presentato il disegno di legge in parlamento. La legge prende le mosse da un dato semplice: una donna su quattro ha avuto un aborto spontaneo nella propria vita. Con la sua proposta, dunque, la deputata neozelandese ha voluto far fronte ad un fatto ancora circondato da stigma e silenzi.
Il disegno nasce dalla volontà di consentire alle coppie che vivono una perdita di poterla elaborare senza dover usufruire dei giorni di malattia. Un modo, dunque, di dare dignità alla sofferenza che deriva dalla perdita. Perché l’elaborazione di un lutto non può essere ridotto ad una semplice malattia. E chi lo vive non deve essere costretto ad utilizzare i giorni di malattia che spettano di diritto.
L’approvazione di questa legge mostra ancora una volta che la Nuova Zelanda sta tracciando la strada per una legislazione progressista e tollerante, diventando il secondo paese nel mondo a concedere un congedo pagato in caso di aborto spontaneo e natimortalità.
– Ginny Andersen
Ma non è tutto qui. Fedele allo spirito progressista che ormai caratterizza la Nuova Zelanda, il congedo è destinato alle donne e ai loro partner. E con partner non s’intendono i soli uomini cisgender. Da questa legge nessun tipo di genitorialità è esclusa. Come specificato dalla stessa Andersen, la legge è destinata alle coppie binare che intendono avere un figlio ‘naturalmente’ così come a coloro che intendono ricorrere all’adozione o alla maternità surrogata.
Questo provvedimento darà alle donne e ai loro partner il tempo di elaborare la loro perdita, senza dover ricorrere al congedo per malattia. Perché il loro dolore non è una malattia. E una perdita richiede tempo.
– Ginny Andersen
Nonostante il nobile intento di Andersen, è proprio la questione del tempo ad aver suscitato in alcuni delle perplessità. Una simile perdita, infatti, a seconda della diversa risposta psicologica di chi la vive, può determinare un trauma. E per riprendersi da un dolore traumatico non possono bastare tre giorni.
Altro punto critico riguarda l’inapplicabilità della legge in caso di interruzione volontaria di gravidanza.
Per quanto la Nuova Zelanda sia un modello di ammirabile progressismo, stiamo parlando comunque di un paese che ha depenalizzato l’aborto solo lo scorso anno.
Ma d’altro canto, il cambiamento è un frutto prezioso che richiede tempo per maturare. Essere consapevoli della fatica che comporta coltivarlo non è da tutti. Eppure, sotto la guida di Jacinda Ardern, quello che è stato definito il governo più queer di sempre sembra aver accettato la sfida. Come non ricordare, infatti, la legge sulla parità salariale e la misura con la quale sono stati resi gratuiti gli assorbenti nelle scuole. Provvedimenti che, insieme a quest’ultimo, non possono che essere guardati con una certa ammirazione.
Carola Varano