Nuotiamo in un mare di plastica. È quanto emerge da uno studio condotto da Greenpeace in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (IAS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova. Che ha evidenziato che un terzo di pesci e invertebrati che vivono nel mar Tirreno ha ingerito microplastiche.
Lo studio
La ricerca è stata condotta in varie aree italiane. E cioè Fiumicino, Ventotene, Napoli, isola d’Elba, isola di Capraia, Ombrone, isola del Giglio e in varie zone della Sardegna (Olbia, Golfo degli Aranci, isola di Molarotto, Tavolara).
In totale sono stati analizzati 308 organismi. Di cui 208 pesci appartenenti a 23 specie diverse e 100 invertebrati appartenenti a 3 specie. Gli studiosi hanno selezionato le specie per il loro valore commerciale ed ecologico. Ed hanno definito il numero di individui per ognuna secondo le disponibilità.
I risultati
L’area con la frequenza di ingestione maggiore è risultata quella dell’isola del Giglio (con una percentuale del 76,7%).
Per quanto riguarda nello specifico le microplastiche, dei 308 organismi analizzati, 108 sono risultati positivi all’ingestione di almeno una di esse. Con una frequenza quindi del 35%.
I siti delle isole del Giglio, d’Elba e di Capraia hanno mostrato le maggiori frequenze di ingestione, con una media del 55% (circa).
Inoltre l’analisi di pesci, rappresentativi di diversi habitat, ha permesso di scoprire che le specie demersali – come la gallinella, lo scorfano, il pagello fragolino e la razza – che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, hanno le frequenze di ingestione di microplastiche maggiori (75 – 100 per cento) rispetto alle specie pelagiche, in quasi tutti i siti oggetto di studio.
I picchi di contaminazione
In aree potenzialmente poco impattate come Capraia, è stata trovata addirittura la concentrazione più alta di plastica, con oltre 300 mila particelle per chilometro quadrato. Nel porto di Olbia e alla foce del Tevere non è molto più bassa, con oltre 250 mila particelle per chilometro quadrato. A conferma del fatto che le aree portuali con limitata circolazione e le foci dei fiumi costituiscono zone con elevati livelli di contaminazione da microplastiche.
Dai campionamenti effettuati a Ventotene e alla foce del Sarno a diverse profondità e con strumentazioni differenti, gli studiosi hanno riscontrato variazioni fino a due ordini di grandezza del contenuto di microplastiche, con concentrazioni molto più elevate a 5 metri di profondità rispetto alla superficie. La tipologia più frequente di microplastiche riscontrata è rappresentata da frammenti – tra 1 e 3 millimetri e inferiori al millimetro – costituiti soprattutto dai polimeri in polietilene e polipropilene. Non a caso, le tipologie di plastica più usate.
I commenti degli studiosi e l’appello di Greenpeace
Stefania Gorbi – docente di Biologia Applicata alla Università Politecnica delle Marche – ha affermato:
“I risultati confermano ancora una volta che l’ingestione di microplastiche da parte degli organismi marini è un fenomeno diffuso e sottolineano la rilevanza ambientale di questa contaminazione. La frequenza di ingestione maggiore in organismi che vivono a stretto contatto con i fondali conferma come i sedimenti possano rappresentare un comparto importante di accumulo della plastica e microplastica immessa in mare”.
Mentre Greenpeace – dopo aver appreso che persino il Santuario dei Cetacei è contaminato – ha lanciato un appello:
“I dati diffusi oggi confermano la presenza di microplastiche in specie marine che consumiamo quotidianamente. Anche il Santuario dei Cetacei è interessato da questa minaccia, in misura anche maggiore di altre aree campionate. D’altronde, a distanza di cinque anni, decine di tonnellate di rifiuti in plastica si trovano ancora su questi fondali. Il rischio è che le balle si deteriorino, trasformandosi in microplastiche e aggravando la contaminazione. Bisogna intervenire subito per rimuoverle” .
Insomma letteralmente nuotiamo in un mare di plastica. Il dato che preoccupa di più è che di anno in anno la percentuale di ingestione di microplastiche aumenta. Nel 2017 era del 30% (del 27% nel Mar Adriatico). Oggi è salita al 35%. Continuando così, dove andremo a finire? E pensare che basterebbe fare attenzione ed usare la testa per far sì che la situazione migliori.
Anna Gaia Cavallo