Perdonate se ogni tanto mi piace fare battute che divertono solo me, vengo subito al punto: ricordate la sensazionale scoperta di appena un paio di anni fa di una cometa che secondo gli astronomi proviene da un altro sistema planetario?
La cometa (nella foto foto dell’articolo) scoperta nel 2019 si chiama Borisov, ora arriva uno studio dal prestigioso Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics che afferma che gli oggetti interstellari come Borisov all’interno della nube di Oort potrebbero essere tutt’altro che una rarità.
Addirittura secondo lo studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society e firmato dagli astronomi Amir Siraj e Avi Loeb gli oggetti di provenienza extra-solare potrebbero essere più numerosi degli autoctoni all’interno della nube di Oort. Per chi non lo sapesse la nube di Oort è una nube sferica di oggetti ghiacciati, cioè comete, che circonderebbe il Sistema Solare, uso il condizionale perché è così distante e buia che non può essere davvero vista, noi riteniamo che sia il luogo di origine delle comete di lungo periodo. Pensate che si estenderebbe a una distanza dal Sole tra 0,3 e 1,5 anni luce, cioè 2400 volte la distanza tra il Sole e Plutone.
Ma i due scienziati come sono giunti a questa conclusione? Estrapolazione statistica, osservando il comportamento di Borisov e dando per scontato che non sia un unicum sono arrivati alla suddetta conclusione, ovviamente una proiezione del genere ha un ambio margine di incertezza, ma in ogni caso gli oggetti estranei al nostro sistema solare dovrebbero essere la maggioranza nella nube di Oort.
Il problema è che è difficile vederli, non solo sono oggetti piccoli, non solo sono lontanissimi da noi e dalla luce del Sole, ma non emettono luce propria, laggiù le comete si trovano in una condizione ben diversa di quando si avvicinano al Sole e cominciano a fondere, sviluppando la chioma e la spettacolare coda che è sempre in direzione opposta al vento solare perché è quello che la provoca impattando la chioma.
Certamente ne sapremo di più man mano che disporremo di strumenti più potenti e avremo la conferma (o la smentita) se davvero gli estremi confini del sistema solare siano pieni di visitatori.
Roberto Todini