Nozione di razza: usi e abusi

Nozione di razza

Nozione di razza

Ancora oggi utilizziamo la nozione di razza per definire le differenze tra gruppi di umani, nonostante la scienza abbia ribadito su più fronti l’inesistenza delle razze umane.

Partiamo dalle basi

La razza è un termine della zoologia, una «categoria tassonomica propria dello studio delle specie animali che a partire dal XVIII secolo è stata estesa all’analisi della specie umana», citando “Cultura. Introduzione all’antropologia culturale” di Pasquinelli e Mellino. Oggi si concorda che è stato Linneo, medico e naturalista svedese settecentesco, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, a proporre la primissima classificazione fondata sul riconoscimento di caratteri morfologici distintivi, come la forma e la dimensione del cranio, il naso, il colore dei capelli, della pelle, la struttura della faccia e via dicendo. Egli divise la specie umana in quattro categorie ben distinte, dotate di una denominazione geografica, a scanso di equivoci, accompagnata da una categoria cromatica: abbiamo Europeus Albescens (che traduciamo in “europeo tendente al bianco”); Americanus Rubescens (che traduciamo in “americano tendente al rosso”); Asiaticus Fuscus (che traduciamo in “asiatico scuro”); Africanus Niger (che traduciamo, correggendo l’ultima parola, in “africano nero”). Questa classificazione in poco più di un secolo ha perso ogni caratteristica geografica, diventando semplicemente una classificazione basata sul colore della pelle. Tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento iniziò a circolare l’ipotesi che il colore della pelle fosse associato a determinate caratteristiche morali e mentali, dando origine alle prime teorie razziste moderne della storia. Vediamo come si è evoluta la nozione di razza.

Da Gobineau in poi

In particolare Gobineau, filosofo francese ottocentesco, considerato il padre del razzismo come lo consideriamo oggi, autore del libro “Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane” del 1855, è stato il primo a concepire cosa contraddistingue e differenzia una “razza” dall’altra: per lui sia le caratteristiche fisiche e somatiche che quelle morali e mentali erano tratti ereditari. Questa ereditarietà biologica contraddistingue una “razza” umana dall’altra e la superiorità che una ha rispetto all’altra.

Da questo punto in poi della Storia la nozione di razza, con il significato scientifico-culturale che le era stato attribuito, si è intrufolata in qualche tragica mente nazista e fascista ed è stata tramandata fino a noi sotto forma di dato associato. La nozione di razza rimane utilizzata, anche se in decrescita costante, e mentre in diversi paesi europei  è stata piano piano esclusa dal dibattito scientifico e culturale, in particolare grazie ai dibattiti che si sono accesi in campo progressista e femminista, in Italia siamo ancora in alto mare e non abbiamo mai acceso realmente i riflettori in materia.

Dove troviamo la nozione di razza?

La nozione di razza in italia è ancora molto utilizzata e serve principalmente per raggruppare tutte le persone che non sono occidentali o, più specificamente, bianche: gli studenti di medicina de La Sapienza trovano nei loro libri di testo, come “Il sistema nervoso centrale” a cura di Eugenio Gaudio, la nozione razza per diversificare “la razza bianca” da tutte le altre. “Razza” compare anche in tantissimi articoli di giornale, riviste e testi digitale di qualsiasi schieramento politico: in un articolo di HuffPost , intitolato “Razzismo e violenza di genere in aumento, complice la pandemia”, si usa la nozione razza per argomentare le discriminazioni verso le persone nere (o meglio, non bianche); così come in un articolo su La Verità . Se ne possono citare dozzine: quante volte vi sarà capitato di leggere questa nozione?

Anche i saggi contemporanei, e le traduzioni quando vengono da altri paesi, non sono da meno: “razza” compare in molti saggi femministi contemporanei, e più che Culture Jamming  sembrano proprio abitudine all’uso, anche in testi vincitori di premi importanti: in “Non Morire” di Anne Boyler, Premio Pulizer 2020, uno dei saggi sulla malattia e sul dolore migliori che abbia mai letto, troviamo la nozione di razza: «non dovrebbe sorprendere che le donne single con un cancro al seno, a prescindere da età, razza e stipendio, siano due volte più portate a morire rispetto alle sposate», solo per citare un passaggio. Razza compare anche nell’articolo 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel punto in cui si afferma che: «é vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica e sociale..» e di recente, tornando a guardare nel nostro Paese, Alberto Scotto (PD) ha presentato un emendamento che prevede di escludere la parola razza nei documenti della Pubblica Istruzione. Non solo in politica e in ambienti culturali, come giornali e università, la nozione di razza trova ancora largo spazio nel nostro Paese, ma anche in ambiente medico-sanitario. Villa Paola, laboratorio di analisi chimiche ed uno dei centri dermatologici principali del viterbese, in alcuni valori, come per il Filtrato Glomerulare,  sottolinea che un determinato valore va bene “per pazienti di razza caucasica. Se afroamericani moltiplicare per 1.21”. 

Se non esistono le razze umane, cosa esiste?

Non solo la nozione di razza oggi è screditata, anche se non abbastanza, su un piano morale, in quanto è stata utilizzata ampiamente per giustificare le discriminazioni su larga scala nel secolo scorso, ma è screditata anche, come abbiamo accennato, sul piano scientifico

Attenzione all’inganno: nessuno dice che non esistono differenze tra individui di continenti diversi, si afferma “solo” che si tratta di caratteristiche esteriori che hanno a che vedere con le condizioni ambientali più che con la genetica. 

Una scoperta rivoluzionaria ha spazzato via tutti i dubbi: la scoperta dei fattori sanguigni trasmessi per via ereditaria che ha favorito «l’abbandono della nozione di razza e quindi l’adozione dei metodi della genetica delle popolazioni», citando sempre il testo di Mellino e Pasquinelli.

Secondo questo approccio, cercando di semplificare il più possibile, la diversità umana è affrontata in termini di distribuzione dei geni: ogni popolazione contiene tutti i geni umani esistenti, non importano le caratteristiche esteriori citate prima o una specifica provenienza da un continenti o dall’altro. Ciò che varia è la frequenza con cui si manifestano i diversi geni. Questo significa che è impossibile, sotto il profilo biologico, identificare un individuo sulla base di qualsiasi marcatore genetico.

I primi esperimenti

Nello specifico all’inizio degli anni ‘70 del Novecento diversi ricercatori, tra cui il genetista Richard Lewton, decisero di studiare il DNA di sette “razze” (popolazioni, etnie): i caucasici (abitanti del Mediterraneo e Nord Europa); gli africani sub-sahariani (praticamente tutta l’Africa tranne il Nord Africa); i mongolidi (Asia orientale); le popolazioni del sud-est asiatico; gli aborigeni australiani; gli oceanici e i nativi delle Americhe. Il risultato di questo studio abbatte definitivamente la nozione di razza: non solo non ci sono differenze evidenti e importanti tra le persone prese in esame, ma con un’altissima probabilità deriviamo tutti da uno stesso gruppo di antenati comuni. Nessuna razza. 

Per approfondire questo studio e vedere gli studi successivi, che non cito perché portano tutti allo stesso risultato, nonostante lo sviluppo di strumenti di analisi, potete cliccare qui.

Riferendosi alla specie umana, invece di razza oggi si possono usare termini come “popolazioni” o “etnie”, che attualmente sono quelli ritenuti più congrui, stando attenti al significato che in ogni caso gli attribuiamo: la parola “razza” di per sé è solo un sistema di lettere in una frase, è il significato storico a fare la differenza; la nozione di razza, invece, ha creato un’abitudine di pensiero e spesso di logica politica pericolosa e discriminatoria che, senza un attento lavoro su questo, si rischia solo di sostituire una parola con un’altra: il nuovo razzismo sta anche nel mascherare le parole caricandole del significato delle precedenti, come un loop aggiornato con i tempi.

Un lavoro che scienza e cultura devono fare insieme, in italia, probabilmente, più che altrove.

Diego De Nardo

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