La manifestazione nazionale del 25 novembre scorso, in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stata quasi un successo. Quasi perché un gran numero di persone ne sono state escluse, non viste hanno dovuto rinunciare alla lotta che sentono propria, ma che pare dimenticarle. Parliamo delle persone disabili e neurodivergenti che, all’indomani dell’evento, hanno reso nota la propria delusione per l’organizzazione di Non Una Di Meno, promotrice della manifestazione.
Lo scambio tra le attiviste e Non Una Di Meno
L’hanno fatto attraverso una lettera aperta firmata da più di cento attivisti e collettivi, diffusa da Marta Migliosi e Asya Bellia attraverso il sito del Centro Informare un’ H e i canali social. Nella lettera si denuncia non solo l’inaccessibilità della manifestazione di Roma, ma soprattutto la mancanza di comunicazioni a riguardo da parte di Non Una Di Meno, che ha impedito alle persone disabili e neurodivergenti interessate anche solo di valutare la possibilità di essere presenti.
«Il vaso di Pandora si è aperto, c’è una comunità forte che chiede da anni di partecipare, di prendere spazio e parola, di essere coinvolta, ma è rimasta inascoltata. Come può il Femminismo essere escludente? Che ne direste di iniziare a mettere in discussione le nostre pratiche?»
In un primo momento l’invito è sembrato cadere nel vuoto, tanto che alla prima lettera ne ha fatto presto seguito un’altra per esprimere la confusione e il dolore di essere state ignorate.
Pochi giorni fa, dopo quasi tre mesi di riflessioni, è arrivata la risposta di Non Una Di Meno. Un comunicato di scuse, di presa in carico delle istanze dopo settimane di assemblee tra i vari nodi territoriali della rete. Un comunicato che esprime l’intenzione di rendere la lotta accessibile a tutte le persone:
«non vogliamo trattare il tema dell’accessibilità come una questione logistica, ma come atto politico. Non vogliamo limitarci a rendere accessibili spazi fisici, come cortei, piazze e assemblee, ma vogliamo riconoscere e costruire nuovi spazi di lotta, anche virtuali, e creare nuove pratiche, che per alcune persone con disabilità sono le uniche modalità di lotta e attivismo accessibili».
Il gruppo propone un confronto aperto a tutte le realtà interessate sul come implementare concretamente queste nuove consapevolezze in vista dello sciopero dell’8 marzo.
L’accessibilità della lotta
Se davvero si vuole rendere l’accessibilità imprescindibile, le proposte, in realtà, esistono già. Un esempio arriva da Simone Riflesso, creativo e attivista che con il suo progetto Sonda Pride ha mappato l’accessibilità dei vari Pride italiani fornendo linee guida e suggerimenti per rendere gli eventi sempre più inclusivi.
Spesso si crede che l’accessibilità sia la semplice assenza di barriere architettoniche, una visione che non tiene conto della varietà delle disabilità e dei bisogni specifici delle persone neurodivergenti. Rendere un evento accessibile richiede un allargamento dello sguardo, una presa di coscienza sulle molteplici sfumature dell’essere umano. Non può limitarsi alla scelta di percorsi privi di gradini, deve pensare a chi ha sempre rinunciato alle manifestazioni di piazza a causa delle proprie sensibilità sensoriali, dei dolori cronici, delle limitazioni sensoriali.
Non è un lavoro facile, ma viene semplificato dando ascolto alle persone coinvolte in prima persona: “niente su di Noi senza di Noi” è il motto dei movimenti dei disabili, fatto proprio anche dalla comunità neurodivergente. Un pilastro fondamentale su cui costruire buone pratiche, per fare in modo che i movimenti che lottano contro i sistemi oppressivi non siano a loro volta oppressori inconsapevoli.
Da questa storia emergono due aspetti fondamentali
Il primo mostra come la disabilità ancora fatichi ad essere compresa nel concetto di intersezionalità e di come l’abilismo sia un sistema oppressivo subdolo, che agisce anche in quegli spazi che se ne credono privi. Il secondo, a mio parere, è qualcosa di buono, di intrinsecamente democratico. Le persone che si sono sentite escluse hanno manifestato la loro rabbia, hanno aperto un dibattito che è stato accolto da Non Una Di Meno, su cui si è riflettuto e che, auspicabilmente, troverà una soluzione.
Molta della forza che i sistemi oppressivi hanno trovato nel corso dei secoli è arrivata dalle divisioni tra gli oppressi, divide et impera non è tanto una frase fatta quanto una strategia precisa. Lo scontro è inevitabile quando si vuole decostruire un sistema e costruirne uno nuovo, molto più di quando ci si coalizza solo per il mantenimento dello status quo. Per questo motivo è sempre difficile fare delle critiche ai movimenti “amici”, se si condivide una lotta spesso si preferisce tacere su quelle non condivise, ed è per questo che nasce l’intersezionalità.
L’intersezionalità è una lente attraverso la quale guardare alla società e alle identità, ma è anche una pratica politica che richiede confronto costante e coesistenza tra soggetti diversi. Le persone che hanno firmato quelle lettere non devono rinunciare ad una parte della loro identità. Non devono rinunciare al femminismo perché disabili o neurodivergenti, tanto più che i dati indicano le donne disabili come la categoria tra le più a rischio di violenza patriarcale, ma non possono ignorare e vedere ignorate le proprie esigenze fisiche, sensoriali, psicologiche.
Non Una Di Meno ha davanti a sé settimane importanti per prepararsi, per dimostrare di essere un movimento davvero intersezionale dove dallo scontro costruttivo nasce il cambiamento, non l’ennesima corrente che rispetta le persone disabili e neurodivergenti solo quando sono docili, quando stanno al loro posto. Se succederà, il merito sarà di quelle centinaia di persone che hanno sottoscritto la lettera, che non sono state zitte e hanno preteso di essere riconosciute.
Pensare spazi inclusivi, allargare la partecipazione, rendere la lotta accessibile a tutte le persone: che l’8 marzo sia un successo. Senza quasi.
Sara Pierri