Non solo a Roma troviamo nel menu la pizza Camorra
L’immagine di copertina per questo articolo non è recente ma risale addirittura al 2011, quando un’inchiesta il superpoliziotto Vittorio Pisano rivelò quanto la camorra fosse inserita in “onesti” e riciclatori esercizi commerciali, in special modo bar, ristoranti e pizzerie.
Insomma le pizzerie non erano altro che remunerative “lavatrici di denaro sporco”. Le ricchissime famiglie della criminalità devono pur ripulire le ingenti somme di denaro guadagnate con estorsioni e traffici illeciti di ogni genere, no? Il denaro sporco non lo vuole nessuno e non serve a niente.
Nello stesso articolo de L’Espresso si sottolineava anche che le mani della criminalità sulla ristorazione travalicavano i confini nazionali: catene di ristoranti sotto il controllo della malavita erano sparse in tutto il mondo: da Londra a Miami, da Dubai a Hong Kong. E in fondo tale gustoso interesse è comprensibile, la pizza la mangiamo proprio tutti.
Strano dunque tutto il clamore che ha suscitato il sequestro di beni mobili e immobili per 80 milioni di euro avvenuto ieri a Roma. Un impero sottratto alla camorra composto solo da 28 locali, tra ristoranti,bar e gelaterie, 41 beni immobili, 77 società, 76 autoveicoli e 385 servizi di intermediazione bancaria. Senza contare una misera mazzetta in contanti di soli 300.000 euro, ma che possiamo dire? Di questi tempi meglio girare con poco contante appresso, c’è brutta gente in giro .
Ancora più strano è il fatto è che il sequestro di questi beni è avvenuto con due anni di ritardo: infatti i tre fratelli Righi, Luigi, Antonio e Salvatore – uomini di fiducia e riciclatori ufficiali del clan Contini- furono arrestati nel 2014 nell’ambito dell’ inchiesta dal fantasiosissimo nome “Margarita”, poi divenuto “Pizza Ciro”. Altrettanto noto è il nome del faccendiere romano Alfredo Mariotti, legato anche’egli al clan Contini-Mazzarella nonché alla storica Banda della Magliana attraverso “l’amico” Enrico Nicoletti.
Insomma fino a ieri, se volevi prendere un buon caffè o mangiare una bella pizza, tutti sapevano che i locali sotto il controllo dei Righi facevano delle offerte che non si potevano rifiutare.
Ma stando all’articolo dell’Espresso del 2011, a firma di Lirio Abbate e Gianluca di Feo, mi balena in testa il sospetto che questa “eccezionale” e tardiva operazione avvenuta a Roma non è che una goccia nel mare. Per carità, un bel gocciolone ci mancherebbe, ma siamo ancora un bel po’ lontani dagli scenari internazionali paventati nell’inchiesta di Vittorio Pisano già nel 2011. Dunque l’enorme macchina “da riciclo” messa in moto dalla criminalità organizzata in Italia e nel mondo cammina ancora spedita e lavora a pieno regime.
Insomma la pizza tira ovunque e poi ammettiamolo, pochi sono gli imprenditori che dispongono di enormi quantità di liquidi da investire – soprattutto dopo la crisi del 2008 – e i mafiosi sono grandissimi imprenditori e dispongono di tantissimo denaro da “risciacquare” per bene.
Allora alcune domande sorgono spontanee: fino a dove arrivano gli investimenti “legali” delle mafie che hanno lo scopo di ripulire i guadagni illeciti? Una volta scavata la superficie e arrivati a fondo – ammettendo per assurdo che qualcuno lo faccia – fin dove arriveremo? Chi e quanti sono coinvolti? Sono solo pizzerie e ristoranti le attività di copertura e riciclaggio delle mafie o i loro interessi toccano altri settori dell’economia? Lo so, le risposte sono scontante, tutti le conosciamo… ma mica vogliamo metterci nei guai?
Stasera Pizza?
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