Non può esistere la Cultura dell’odio

Non può esistere la Cultura dell’odio

Scena tratta dal set di Metropolis di Fritz Lang, 1927

Non può esistere la Cultura dell’odio

 

Quando la comunicazione si complica inutilmente la regola è semplice: scomporre e valutare ogni singola parola. Ad esempio, se mi sento dire che si vuol diffondere la “cultura dell’odio” mi rendo conto che qualcosa non torna. Certo, se questa frase la sottintende Camilleri è un conto, per uno scrittore l’ossimoro è  pane quotidiano, ma se già se ne appropria un politico dell’ultima – e già decrepita – generazione o un bieco opinionista di risulta di un talk show urlato urge quantomeno iniziare a diffidare.

L’odio non può per sua natura esser cultura e la cultura non può contemplare l’odio. La cultura non può che escludere inevitabilmente l’odio e viceversa, altrimenti parliamo di altro: di demagogia, di propaganda, di ignoranza vestita male, di qualunque altra cosa ma non certo di cultura.

Questi tempi non sono complicati, anzi, sono tanto loschi quanto elementari, pericolosi quanto ridicoli, ma non certo complicati. Tutto si riduce all’effetto e al consenso, alla pornografia dei sentimenti, al vittimismo o – da buon rovescio della medaglia – ad una manieristica ostentazione di virilismo che non nasconde altro che repressione e impotenza, ma nulla più. Non si esce da questo mediocre perimetro comunicativo, facciamocene una ragione: siamo all’apogeo di un narcisismo di massa dove i contenuti si sacrificano per la ricerca del consenso ad effetto.

A me che la Isoardi abbia lasciato Salvini non me ne può impipare di meno, ma nel momento in cui Salvini – ricordiamo che è un ministro – dichiara con patetica ovvietà in pubblico che non prova vergogna ad aver amato e mischia volutamente il suo ruolo istituzionale con le sue corna non fa altro che propaganda a spese della sua vita privata e della sua dignità. Una persona seria si sarebbe tenuta la sua vita personale per sé, si sarebbe anche ragionevolmente offesa nel vederla spiattellata, ma l’uomo forte ora deve recitare la parte del deluso d’amore, dell’abbandonato che punta ad intenerire col pietismo il suo elettorato. Usa “letteralmente” l’intimità del suo vissuto per fini propagandistici, per ottenere ciò che vuole.

Per carità, fare la vittima funziona da sempre e in qualsiasi contesto: chi si dichiara infelice, non amato, abbandonato e incompreso un minimo di pietà e compassione la raccatta sempre … per brevi periodi e discapito della  propria dignità, ma ormai – nel circondario – la dignità è andata a puttane da un bel pezzo.

Salvini quindi non comunica, ha solo conati espressivi, divora voracemente il disagio del paese e rigurgita malcontento e odio, la sua  non è dialettica, è qualcosa di più primitivo e bestiale che arriva ai nervi e alle viscere della gente già incazzata e li tira fino allo spasmo, fino rendere bestiali anche coloro che  lo sostengono. Salvini più che un rappresentante di chi lo ha votato ne è la miccia, il pericoloso detonatore.

Quindi,  a voler esser davvero precisi, il successo di Salvini non è dovuto alla sua capacità di comunicare, bensì al suo essere totalmente incapace di farlo; a tal punto da ricorrere alla parte più limbica e conservativa di noi. Certo, qualcuno potrebbe dirmi che anche questa è comunicazione, e in effetti lo è, ma se dopo millenni di storia ci siamo ridotti a comunicare di nuovo  come cavernicoli ipertecnologizzati, allora non ci possiamo lamentare se il bestiale ha la meglio. Vuol dire che siamo degnamente rappresentati dall’indegno.

Va’ comunque sottolineato che il metodo Salvini non è spuntato come un fungo, viene da lontano: ci sono voluti trent’anni di logorio sottile della decenza per arrivare a questo, e a dimostrarcelo è l’altro Matteo, quello che ha dato il colpo di grazia alla già agonizzante sinistra italiana.

Spunta fuori un video dove un penoso Casalino dichiara che vecchi, bambini e persone affette da sindrome di Down gli fanno schifo, poi questo triste poveruomo tenterà di porre un penoso riparo alla sua pochezza dichiarando che essendo omosessuale ed emigrante è stato il primo a comprendere e subire discriminazioni (ecco il vittimismo che ritorna come strumento di propaganda), ma il buon Renzi in tutta risposta che pensa di fare? Gli salta in mente di postare una  foto che lo ritrae con la sua nipotina affetta dalla sindrome di Down ergendosi così -con bieco e celere opportunismo –  a difensore dei diritti di questa minoranza.  Inutile dire che il tentativo è stato tanto triste quanto disperato, nonché di pessimo gusto. Ricordo che quando fu nominato da Napolitano presidente del Consiglio oscurava i volti dei suoi figli per garantire la loro sacrosanta privacy, ma qualche giorno fa non si è fatto scrupoli a mettere in mostra il volto di una bambina innocente per pura e disperata propaganda.

Dio come siamo messi male, davvero male … ma soprattutto riusciamo ad oscillare con ipocrita disinvoltura  tra l’odio e il vittimismo. L’uno alimenta l’altro, anzi … l’uno è già l’altro! con il vittimismo ci ergiamo a giustizieri del nulla e, grazie all’odio costruiamo ad hoc e con puntuale ipocrisia di continuo  un nemico su cui riversare le nostre bassezze. Senza alcuna dignità riusciamo ad essere nel contempo patetici e rabbiosi, tristi e rancorosi.

Ora ditemi, qui dov’è la cultura? Perché per quanto mi affanni a cercarlo vedo solo l’odio di persone insignificanti, rese identiche dalla loro irrecuperabile mediocrità.          

fonte immagine:  onset.shotonwhat.com   

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