Sono trascorsi ormai due anni dall’annessione illegale della Crimea da parte della Russia e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea non sono servite a convincere il Cremlino a rispettare gli accordi di Minsk sul cessate il fuoco nelle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk.
A fine giugno, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, aveva affermato a un’emittente francese come le sanzioni siano l’unico strumento per convincere il Cremlino a rispettare gli accordi di Minsk sul cessate il fuoco nelle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk, dopo l’annessione illegale della Crimea avvenuta nel marzo 2014.
Capita spesso, da due anni a questa parte, che si senta parlare di sanzioni economiche alla Russia in virtù di una violazione palese del diritto internazionale: ma chi le ha decise e, soprattutto, in che cosa consistono di fatto queste sanzioni e quanto pesano realmente sull’economia russa?
Chiariamo subito un punto. La popolazione della Crimea è a maggioranza russofona e Putin ha utilizzato a suo favore questo pretesto per invadere il territorio ucraino. Una dimostrazione di forza che ricorda in parte quella di Hitler con i Sudeti, regione della Cecoslovacchia a prevalenza tedesca.
L’annessione della Crimea, però, non è soltanto una mossa di propaganda politica, come fu quella di Hitler nel ’38. Infatti, la questione è molto meno ideologica di come appare o di come Putin abbia voluto far credere e contiene in sé dei motivi che sono apertamente di carattere economico. Per farla breve, di opportunismo finanziario.
La Crimea è anzitutto una miniera che fa gola al gruppo Gazprom e alle maggiori compagnie petrolifere russe per l’enorme quantità di giacimenti di gas e petrolio presenti nel Mar Nero: da qui, l’idea delle sanzioni da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che, da un lato accusano Mosca di violazione del diritto internazionale dopo l’annessione forzata della Crimea, e dall’altro sperano di non privarsi in questo modo di quelle risorse energetiche che garantirebbero alla Russia l’egemonia indiscussa del mercato petrolifero mondale.
Tra le sanzioni imposte a Mosca da parte di Bruxelles e Washington ci sono misure restrittive individuali che riguardano il congelamento dei beni finanziari di molte personalità russe di spicco, tra cui Serghej Chemezov, capo del colosso Rostec. E sanzioni economiche che mirano a indebolire il Cremlino attraverso limitazioni negli scambi commerciali con l’UE e gli Stati Uniti, il blocco delle importazioni provenienti dalla Crimea e misure che restringono l’accesso ai mercati occidentali da parte delle banche statali e delle società energetiche russe.
Tuttavia, a distanza di due anni dalle prime sanzioni e a un anno dagli accordi di Minsk, la Russia non ha mostrato la minima intenzione di cedere sulla Crimea, a dimostrazione del fatto che i vantaggi economici garantiti dai giacimenti del Mar Nero sono più forti sia delle perdite commerciali subite con le sanzioni, sia della pesante recessione che nel 2015 ha visto il Pil russo perdere 3,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Per queste ragioni, l’Unione Europea e gli Stati Uniti dovrebbero riflettere se cambiare strategia e dialogare con Mosca, chiudendo magari un occhio sulla Crimea, per aprirne quattro sulla politica estera, nel caso il Cremlino, infastidito dalle continue sanzioni dei suoi alleati, decidesse di tirarsi fuori dalla lotta al terrorismo. E questo sì che sarebbe un problema da non sottovalutare.
Antonio Lorenzo Milo