Avete presente la battaglia di Caporetto? La disfatta della prima guerra mondiale in cui gli austriaci spezzarono il fronte italiano dilagando fino al Piave?
La storia la conosciamo tutti ma, alla luce di ciò che voglio raccontarvi, conviene decisamente ricordarla. La battaglia di Caporetto venne combattuta tra il 24 ottobre e il 17 novembre 1917. Da un lato troviamo la soldataglia italiana guidata da Luigi Cadorna. Dall’altro lato, invece, le truppe austriache appena rinforzate da numerosi contingenti tedeschi che, sempre più, abbandonavano il fronte orientale in attesa che i Russi si decidessero a firmare la pace.
I due eserciti erano appostati nella valle dell’Isonzo. Un territorio impervio e difficile da controllare, al punto che, dall’inizio della guerra, né l’uno né l’altro schieramento si erano dimostrati in grado di assumerne il pieno controllo. Sono infatti almeno undici le offensive che Cadorna decise di lanciare, senza successo, contro il fronte austriaco, tra il 1916 e il 17. Gli austriaci, allo stesso modo, provarono numerosi sfondamenti ma il risultato fu sempre lo stesso: tanti morti e qualche metro di terra fangosa.
L’Italia, però, aveva dalla sua un grande vantaggio. I suoi effettivi, infatti, superavano largamente quelli austriaci e questo costrinse il governo di Vienna a chiedere aiuto ai cugini tedeschi. Radunato un gran numero di uomini, dunque, alle 02.00 del 24 ottobre, le artiglierie tedesche cominciarono a bombardare le posizioni italiane fino alle 08.00. Terminato il bombardamento fu il momento dell’assalto. Il merito della vittoria tedesca va assegnata, a livello tattico, alla dodicesima divisione slesiana che, durante i combattimenti generali, fu in grado di avanzare, senza essere vista, lungo il corso dell’Isonzo. Sul suo percorso sorprese numerose divisioni italiane, neutralizzandole senza difficoltà. Qualche ora dopo era già a Caporetto.
Nel primo giorno di battaglia si contarono 40000 morti italiani e circa 9000 morti austro-tedeschi. Una vittoria fin da subito schiacciante.
Vi risparmio il racconto dei successivi giorni di guerra e della triste e disastrosa ritirata italiana. Ciò che voglio dirvi è che, secondo quanto riporta un libro di storia di una nota Casa Editrice, in realtà ci siamo sbagliati. Gli italiani non hanno mai perso la battaglia di Caporetto, al contrario, hanno riportato una schiacciante vittoria.
Prima di tutto è bene dire che il libro in questione è già stato rimosso dal commercio. Il merito va all’Associazione Nazionale Alpini e ad alcuni genitori indignati che, accorgendosi dell’errore, hanno sollevato numerose lamentele. A farmi storcere la bocca, però, è il fatto che questo evento sia stato trattato come un piccolo sbaglio, paragonabile in tutto e per tutto ad un errore di stampa, quando, in realtà, sembra proprio qualche altra cosa. Vi riporto, per agevolare la comprensione di ciò che sto cercando di dire, un frammento del manuale in questione: “Ma non bastava: quando gli italiani sfondarono il fronte nemico a Caporetto, trovarono i depositi austriaci pieni di cocaina: ecco come si mandavano all’attacco le truppe vincendone la paura!”
E’ sufficiente questo piccolo estratto per accorgersi che, con molta probabilità, non si è trattato di un refuso. Il manuale narra passo per passo la battaglia di Caporetto ribaltandone il risultato. Ma non solo. Come se ci trovassimo ancora nella prima guerra mondiale, infatti, tenta di gettar discredito sugli austriaci narrando l’episodio della cocaina. (Cocaina che, parliamoci chiaro, abbondava in qualsiasi trincea dell’occidente).
E’ dunque piuttosto difficile ritenere una simile narrazione storica come frutto di un semplice errore. Gli errori possono riguardare le date, i vocaboli o magari una qualche confusione nella terminologia. Non possono, però, riguardare un intero paragrafo che potrebbe essere titolato, candidamente, “come l’Italia sconfisse l’Austria a Caporetto“.
Non può trattarsi di un’errore
Ma se non è un’errore, allora, cosa può essere? Se avete letto fino a questo momento sono sicuro che la parola che ho in mente vi ronza in testa già da un bel po’. Revisionismo. Vero e proprio revisionismo, o meglio, un maldestro tentativo di revisionismo che prova a ribaltare il più grande disastro militare italiano in un mastodontico successo. Per capirci, è come se in un libro di storia polacco leggessimo di come la Polonia ha facilmente stroncato l’offensiva tedesca verso Varsavia.
Parliamoci chiaro, la storia italiana del novecento, quando si parla di guerre, è tutt’altro che rosa e fiori, o meglio, “eroismo e gagliarda virilità“. La prima guerra mondiale è una storia fatta di stenti, sconfitte, vittorie effimere, avanzate seguite da immediati ripiegamenti, mal comando e fascino da antiquario per strategie belliche datate. La seconda guerra mondiale è un po’ il remake della prima, con una grafica migliore e più gingilli tecnologici al servizio delle armate. Dopo un inizio di speranza, con l’occupazione dell’Albania, gli italiani non riescono neanche a far breccia contro una Francia che già vede Hitler passeggiare per Parigi.
Il fronte delle conquiste coloniali, poi, è ancora più deprimente. In Eritrea riusciamo ad ottenere qualche risultato solo grazie all’utilizzo dei gas tossici, senza però rinunciare a numerose sconfitte. Per quanto riguarda la Libia, invece, gli italiani riescono a strapparla dalle grinfie di un Impero Ottomano già deceduto, salvo poi impiegare una decina d’anni per pacificare la riottose tribù dell’entroterra.
La storia militare italiana del ‘900, quindi, è un vero e proprio disastro di velleità e orgoglio immotivato.
Ciò che il libro di storia in questione ha cercato di fare, zitto zitto e scaltro scaltro, è il fornire una vera e propria rivalutazione della storia militare italica. E quale modo migliore per farlo se non quello di tramutare la più cocente disfatta italiana in una leggendaria vittoria? Mi piacerebbe davvero poter dire, convinto, che si tratta di un semplice errore in buona fede. Tuttavia è sufficiente aver sfogliato qualche libro per rendersi conto che c’è un limite agli errori che possono contenere. Esistono, ad esempio, libri scritti malissimo, pieni di refusi, con grammatiche sgangherate e che sembrano composte da Lino Banfi in persona.
Esistono molti errori che possono funestare le pagine di un’opera, ma quando il concetto riportato risulta essere esattamente l’opposto di quel che si dovrebbe dire, forse, non siamo davanti a un errore ma ad un vero e proprio tentativo di revisionismo. Anche perché, sennò, dovremmo sollevare una nuova e più spinosa questione. Se si fosse realmente trattato di un errore dovremmo chiederci chi ha scritto il manuale in questione. Dovremmo mettere in dubbio le conoscenze storiche fondamentali dello scrittore e, di conseguenza, dovremmo forse dubitare anche del suo titolo di studio.
Se si fosse trattato di un errore saremmo costretti a ritenere l’autore del manuale completamente ignorante in materia. Possibilità sempre aperta, ovviamente, ma leggermente improbabile. Ad essere più plausibile, invece, è la possibilità che una persona, consapevole di ciò che realmente successe durante la battaglia di Caporetto, abbia deciso, furbescamente, di modificarne il risultato a posteriori.
Andrea Pezzotta