Non esistono più le mezze stagioni
“Penisola al centro del mar Mediterraneo dal clima mite e temperato”. Questa era la definizione dell’Italia nei nostri vecchi sussidiari di geografia. Un classico, un po’ come “i giapponesi sono piccoli ma industriosi”.
A ricordarla fa tenerezza; sembra così innocente ma, soprattutto, lontana. Non tanto lontana nel tempo, bensì riposta in un dimenticato cassetto chiuso con su scritto: “cose alle quali credevo.”
Che il clima sia cambiato in un lasso di tempo estremamente breve è indubbio, ed è altresì vero che tale cambiamento non può essere che essere stato un effetto del nostro “abusare” del nostro pianeta, che a pensarci è un po’ come andare a fracassarci la testa su un masso per farci passare l’emicrania, ma la lunga storia dell’uomo ci insegna che non siamo delle cime di intelligenza nonostante quasi tutti credono di essere delle aquile che si stagliano imperiose sulla mediocrità di tutti gli altri.
Ma se da un lato siamo abbastanza consapevoli che il nostro mondo sta cambiando dall’altro siamo ancora ancorati a quella che credevamo fosse la realtà. Insomma ci diciamo tranquillamente al bar, alle cene con gli amici, che il clima è cambiato, ma nell’intimo, in quella parte ben radicata delle nostre convinzioni, continuiamo a pensare che in fondo siamo nella vecchia definizione delle cose che ormai non vale più.
Quindi esiste uno scarto tra la consapevolezza e l’azione che tutti viviamo ma che non tutti conoscono, uno scarto anche abbastanza importante che se non esistesse non farebbe fare soldi ai terapisti. Prendere coscienza di avere un problema non significa affatto risolverlo, né è parte fondante ma non certo risolutiva, anzi – a dirla tutta – il peggio deve ancora arrivare.
In pratica – presi collettivamente – nei confronti del clima siamo esattamente come quelle “piagnone” che consapevoli di scegliersi sempre il partner sbagliato continuano imperterrite a farlo nonostante sappiano benissimo che la loro scelta non farà altro che confermare e radicare la loro lamentela. Già non è un caso che esista il caso, ma addirittura spalleggiarlo è patologico (questa andrebbe capita nel ambito della legge dei Grandi numeri).
Alla fin della fiera non potremo che dirci che lo abbiamo voluto noi, che è la fine delle piagnone insomma. Tanto la nostra tanto bistrattata casa comune un modo per riassestarsi lo trova con o senza di noi: checché se ne pensi è un organismo vivente e tutti questi suoi piccoli e grandi capricci sembrano tanti segnali che pare vogliano dirci che si sta un po’ scocciando di noi e che ci sta scrollando dal suo groppone. Poi fate un po’ voi.
Poi per carità Venezia sommersa è un colpo al cuore ci mancherebbe, e in fondo 8 miliardi di euro per un Mose che non funziona – e non si sa’ se funzionerà una volta completato – e dopo tanti arresti e mazzette è uno scandalo. La verità è che i Dogi dovevano assumere Leonardo da Vinci quando potevano. Ma avete visto i Navigli a Milano? Stanno lì da 400 anni e rotti a manutenzione minima indispensabile e fanno il loro lavoro ancora alla perfezione! Ma detto ciò perché il disastro di Matera sembra quasi passare sotto traccia? Non è che agli sgoccioli del suo ruolo di capitale della cultura Unesco sia necessario sciacquarla via. Non credo fosse da contratto.
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