Non ci resta che piangere: un capolavoro strampalato, una tenera amicizia e una versione segreta

Non ci resta che piangere

Non ci resta che piangere è un capolavoro immortale del cinema italiano che uscì al cinema nel 1984, ed è scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi. Compare sul catalogo di Disney+ fra i grandi capolavori del cinema italiano e ripercorrere le tappe che lo hanno portato alla luce è uno spasso. 

Il film racconta la storia del maestro Saverio (Benigni) e del bidello Mario (Troisi) che si perdono nella campagna toscana, finendo con l’auto in panne. Come sopraggiunge la sera, scoppia un violento temporale che li costringe a rifugiarsi in una locanda. Il mattino dopo scopriranno di essere finiti nel 1492.Non ci resta che piangere

I due amici, tra disperazione iniziale cui segue curiosità e voglia di avventura, decideranno di trasformare la loro singolare sorte in missione e di compiere gesta eroiche, come istruire Leonardo Da Vinci e fermare Cristoforo Colombo prima che scopra l’America.

Non ci resta che piangere, oltre ad essere un pezzo unico per la comicità, fu singolare nella sua realizzazione.




La storia segreta di Astriaha

La versione cinematografica durava più di due ore ed era stata estromessa dalla distribuzione e dalla messa in onda in televisione. 

Eppure è proprio questa versione a riempire quei buchi narrativi che a volte fanno oscillare il senso della storia, come lo svenimento della cavallerizza e, soprattutto, il senso della sua presenza nella narrazione.

Qui Astriaha, l’amazzone dagli occhi verdi interpretata dalla bella Iris Peynado, è una principessa che fa innamorare Saverio, il quale si spaccia per l’autore che ha scritto la storia di Otello e Desdemona. Come in una versione parallela alla storia di Shakespeare, si viene a formare un triangolo fra la donna, Saverio e Mario, inconsapevole fantasia sensuale della cavallerizza. Fra i due si consuma la passione, mentre Saverio si convince di essere riuscito a farla cadere ai suoi piedi.

Saverio li coglie in flagrante ed è deluso: l’amico non vuole sposare sua sorella Gabriellina, da quando sono a Frittole lo lascia solo per corteggiare la giovane Pia, è il favorito di Parisina e ora gli ha rubato l’amata. Ma soprattutto: non ha mai chiesto a Pia “se c’ha un’amica”.

Scoppia una rissa tenera e sgangherata fra i rovi che paradossalmente rinsalda la loro amicizia.

https://www.youtube.com/watch?v=tpuAUxSWJ3c

 

La genesi del film

Tra il 1982 e il 1983, Roberto Benigni e Massimo Troisi decisero di unirsi e di presentare un progetto cinematografico al produttore Mauro Berardi. Mancava una storia e tutto si fondava sulla crescente popolarità dei due comici, i quali erano molto diversi eppure entrambi amati dal pubblico sia del piccolo che del grande schermo.

Benigni e Troisi chiesero alla produzione un periodo meditativo di un mese a Cortina d’Ampezzo, dove poter scrivere senza essere disturbati. Seguì un altro mese al mare, unito ad un mese in Val d’Orcia, tutto a spese della produzione. Benigni leggeva poesie a Troisi alla ricerca di un’ispirazione, quando i versi di Petrarca colpirono il comico napoletano:

«Non tutto in terra è stato sepolto: vive l’amor, vive il dolore; ci è negato veder il volto regale, perciò non ci resta che piangere e ricordare».

Quando la vacanza finì, i due si presentarono da Berardi , il quale si aspettava un copione ben nutrito. Peccato che il frutto della meditazione consistesse in un solo foglio su cui c’era scritta una frase:

Ci perdiamo nel medioevo, incontriamo il Savonarola e andiamo a fermare Cristoforo Colombo.

L’improvvisazione

Con l’aiuto di Giuseppe Bertolucci, Benigni e Troisi scrissero una sceneggiatura priva di dettagli, una specie di canovaccio teatrale. Tale canovaccio fu una scommessa pericolosa per la produzione, che rischiava di buttare giornate lavorative della troupe e chilometri di pellicola.

Come racconta Carlo Monni (Vitellozzo), gli attori erano disorientati dalle indicazioni sommarie e dal continuo improvvisare dei due comici, i quali si divertirono e giocarono per tutta la durata del film sfruttando l’allegria come motore propulsivo.

Fu proprio la spontaneità dei due che permise loro di esprimersi con frasi e gesti che erano dei puri distillati di comicità, un livello difficile da raggiungere basandosi su uno script scritto a tavolino.

Ci furono vari momenti nati fuori copione, come quello della lettera a Savonarola, un omaggio alla famosa scena di Totò, Peppino…e la malafemmina del 1956.

https://www.youtube.com/watch?v=HQ79XobbCfU

Pia, interpretata da Amanda Sandrelli, gioca nel giardino quando Troisi, per spiarla, monta sulla schiena di Benigni, il quale dopo vari minuti di battute cade. La “cavalla Saveria” è un dei momenti spontanei nati sul set dall’impossibilità di Benigni di smettere di ridere.

Fu per questi momenti che ci furono notevoli difficoltà di montaggio, con un girato talmente ricco da far nascere le due versioni: una leggendaria che venne trasmessa solo una volta al cinema, e un’altra più coerente messa in distribuzione.

Il finale

Come Benigni disse più volte, il finale di Non ci resta che piangere è stato volutamente lasciato aperto in quanto era stato progettato un seguito.

I due non hanno potuto fermare Colombo e Mario si sente tradito: Saverio lo ha trascinato in quella strampalata avventura solo per impedire la nascita del fidanzato americano di Gabriellina, non per salvare i nativi americani e bloccare la schiavitù degli africani, come aveva promesso.

Ma ecco che compare una locomotiva e i due sentono la speranza di essere tornati nel 1900: in realtà è Leonardo da Vinci, interpretato da Paolo Bonacelli, il quale è riuscito ad inventare la locomotiva grazie ai loro scambi di idee nella tenda vicino al fiume. Si tratta di una locomotiva storica funzionante, conservata fra quelle del Gruppo 400 delle Ferrovie della Calabria.

I due comici, investiti dal successo del film, scrissero un libro sulla storia che vedeva il ritorno al ‘900 e il matrimonio tra Mario e Gabriellina, ma non vi fu mai un proseguo.

Massimo Troisi coronò il suo successo internazionale anni dopo con Il Postino e poi morì per complicazioni al suo cuore già malato.

Come ricorda Benigni ne Il Senso della Vita di Bonolis, in onore alla memoria di quel fortunato e strampalato film:

Massimo fu un’amicizia come il fuoco, un’amicizia che brucia. Ci volevamo bene, e lui era un comico vero. Sembrava sapesse di non avere l’eternità davanti e allora tutto quello che faceva lo faceva in modo immortale.

Nicol Zacco

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