Un tempo gli alberi erano considerati divinità. È facile intuire il perché. Noi stessi al cospetto degli esemplari più grandi proviamo un senso di inferiorità misto ad una perdurante ammirazione. Oggi invece gli alberi si sono trasformati da dei a servi e del loro nome abbiamo perso la memoria. Quanti di noi sanno riconoscere a prima vista una specie di albero da un altra? E come pretendiamo di indignarci per la deforestazione se non conosciamo nemmeno i nomi degli alberi caduti sotto i roghi?
Nomen omen: un nome, un destino
La psicologia ci insegna che dare il nome alle cose è molto importante. Non è un banale atto tecnico, ma un processo culturale e intellettuale che include la ricerca della tua identità per definire quella dell’altro.
Dare il nome ad un’entità è il primo passo per giungere ad una conoscenza della stessa. Dare il nome vuol dire anche legittimare la sua esistenza, regalandole dignità e unicità. Il nome, essendo proprio, ci appartiene; fa parte di noi. È scegliendo innanzitutto il nome che introduciamo le cose nella nostra vita per integrarle nella realtà. Dare un nome agli alberi non consente solo di dare un volto alla loro inanimata corteccia, ma anche di parlarne adeguatamente.
I nomi degli alberi
In un’epoca in cui i genitori scelgono il nome dei futuri nascituri sulla base di un personalissimo senso estetico, è importante ribadire che ogni nome è messaggero di un significato e un’individualità compressa e taciuta.
Così anche i nomi degli alberi. Quercia diventa “corno duro” per la leggendaria resistenza della sua corteccia; il faggio “mangiabile” poiché, insieme al castagno, produce delle ghiande di cui l’uomo si nutriva prima di apprendere l’agricoltura; il larice è infine “soave” per il profumo che spargono i suoi rami.
Da qui, l’importanza dell’etimologia che preannuncia il significato e l’uso di una parola. Così riconoscere e chiamare per nome un faggio, un larice o un pino, anziché circoscriverli tutti nell’anonima definizione di “albero”, significa includerli nei nostri pensieri e attribuirgli un’identità insieme a determinate caratteristiche. E chissà che riconoscendo finalmente una specie non la si voglia anche proteggere come per induzione. Quante specie si sono estinte senza intonacare una prima pagina di giornale, solo perché magari agli occhi dell’opinione pubblica non possedevano alcun nome? Quante specie, invece, dotate di un nome – o, per meglio dire, di un redditizio merchandising – si stanno salvando perché raccolgono le simpatie, le lacrime e gli scongiuri dei tanti cuori umani spezzati. Penso al panda o al koala, per dirne un paio.
Call for treedom
Nella società industrializzata, gli alberi hanno ceduto il passo all’asfalto che ricopre le loro spoglie radici. In lotta con le città, gli alberi abbattono la fragile muraglia di asfalto e cemento per succhiare un po’ di vita al terreno cittadino, avaro di nutrienti. Raccolgono così le malelingue e le ruspe della gente preoccupata del manto stradale e immemore di respirare grazie alla fotosintesi clorofilliana. Gli alberi sono infine diventati dei leziosi soprammobili da esporre sulle rotonde cittadine per intingere di verde le coscienze politiche, sporche di grigio fumo. Ma i nostri polmoni verdi hanno – abbiamo – ancora una chance per risvegliare la nostra gratitudine.
Attraverso i nomi degli alberi, e le storie che questi contengono, potremmo allora essere in grado di sensibilizzare al tema verde anche le anime più intorpidite e meno astratte. Un po’ come i canili cercano di fare con i cani da dare in adozione. Li chiamano per nome, gli affibbiano una storia struggente da raccontare nel tentativo di sensibilizzare il potenziale adottore. E allora perché non raccontiamo anche il dramma della deforestazione con nomi propri e storie lacrimogene?
Qualcosa si sta già muovendo in questa direzione. Il sito Treedom si occupa dietro pagamento di piantare un albero con un click in varie parti del mondo, dal Camerun al Nepal fino alla nostra Italia. Chi decidesse di adottare un albero può scegliere anche il nome della pianta, la quale man mano è possibile seguire durante tutto il suo arco di crescita come fosse un cagnolino adottato a distanza. In aggiunta all’educazione civica non sarebbe inutile introdurre nelle scuole un programma di educazione ambientale che non si occupi solo delle buone pratiche ecologiche, ma insegni anche la quotidianità della Natura. A partire dai nomi degli alberi.
Axel Sintoni