“Donna, vita, libertà” è il grido, il senso della vita, la filosofia di un’esistenza che auspica alla giustizia e alla parità delle donne nella società. È il simbolo del coraggio e della determinazione di Narges Mohammadi, l’attivista iraniana che ha ricevuto il Nobel per lottare per i diritti umani e, in particolare, delle donne. Il Nobel per la pace a Narges Mohammadi, detenuta nella prigione di Evin, porta con sé un significato profondo. È il riconoscimento di una lotta indispensabile per la vita umana e che per questo deve continuare ad oltranza, fino al raggiungimento dell’obiettivo: la libertà.
Chi è Narges Mohammadi?
Nata in Iran nel 1972, Narges Mohammadi ha sempre partecipato alle proteste di piazza contro l’autoritarismo iraniano, insediatosi al potere con la rivoluzione khomenista del 1979. Nonostante la sua carriera universitaria da ingegnera, Mohammadi è sempre stata vicina alle lotte per i diritti umani, in particolare delle donne e dei prigionieri politici. Il premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi è per aver portato avanti molte proteste, attraverso manifestazioni di piazza e con le pubblicazioni di molti articoli. Dal 2003 è la vice presidente del Centro per la Difesa dei Diritti Umani, un’organizzazione governativa fondata da Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003.
La figura e l’influenza di Mohammedi è stata più volte apprezzata: la BBC l’ha inserita nelle 100 donne più influenti di tutto il mondo. Il comitato per il Nobel ha sottolineato l’importanza di questo premio, sopratutto se declinato alla persona e alla sua storia politica. La giornalista e attivista è oggi ingiustamente detenuta nel carcere iraniano di Evin dal 2016 con l’accusa di aver sostenuto una propaganda nemica allo stato. Secondo l’organizzazione per i diritti Front Line Defenders, questo sarebbe l’ultimo dei tanti periodi di detenzione che ha dovuto affrontare. Le sue scelte politiche l’hanno sempre portata a scontrarsi con le autorità iraniane, che l’hanno definita più volte un pericolo per la sicurezza nazionale.
Il comitato per il Nobel è ben consapevole delle attuali condizioni di vita dell’ attivista di 50 anni. Arrestata 13 volte con cinque condanne, è stata condannata a 31 anni di carcere in totale e 154 frustrate. Oltre alle quotidiane violenze fisiche e psicologiche, a Mohammedi è stata anche negata l’assistenza sanitaria. Ha ottenuto il trasferimento in ospedale solamente quando si è trovata al limite delle sue forze, con forti problemi cardiaci e difficoltà respiratorie.
Le repressioni in Iran non hanno mai fine
Nell’ultimo trimestre, più di 500 persone hanno perso la vita e circa 20.000 sono state arrestate dalle autorità iraniane. Tutte queste repressioni, eseguite sopratutto nel mese di settembre, sono state attuate preventivamente. Ad un anno dalla morte di Mahsa Amini, il governo infatti ha voluto neutralizzare ogni forma di movimento per prevenire le proteste di piazza. È stato infatti dall’uccisione di Mahsa, una ragazza curda di ventidue anni, da parte della polizia religiosa, che si è sviluppato e ramificato il movimento femminista contro un’ oppressione statale che dura ormai da 44 anni.
Il movimento delle donne ha iniziato a dilagare in tutte le regioni iraniane, nelle piazze e nelle università di ogni città, allargandosi e raggiungendo anche l’Occidente. Le rivendicazioni sono contro un sistema statale autoritario e religioso, che opera costantemente discriminazioni di genere, etnia e religione. Dopo la morte di Mahsa, arrestata e uccisa a Teheran per non aver correttamente coperto i capelli sotto lo hijab, l’attivismo di tantissime donne ha risvegliato gran parte della popolazione che, per la prima volta, ha messo in forte difficoltà il regime iraniano.
Alla morte di Mahsa Amini, Narges Mohammadi era già in carcere ma iniziò a solidarizzare con i pochi mezzi che aveva. Oltre alle campagne contro la tortura – un fenomeno ormai normalizzato in Iran -, Mohammadi ha iniziato a scrivere articoli, denunciando a tutte le testate internazionali ciò che stava accadendo. I suoi racconti sono arrivati anche alla BBC e sottolineano il problema sistematico della repressione patriarcale attraverso lo stupro, usato dalle autorità come uno strumento di punizione e tortura.
Il governo autoritario contro il Comitato e la comunità internazionale
Le violenze che Narges Mohammadi sta affrontando in quest’ultimo anno da parte dello Stato iraniano sono molteplici e strazianti. La famiglia dell’attivista, in una Conferenza stampa a Parigi, hanno sostenuto in pieno le lotte della donna. Questo però non ha nascosto la forte preoccupazione che il marito e i figli hanno nei confronti della donna. Le autorità iraniane infatti hanno impedito loro di vederla e chiamarla: ad oggi, sono 18 mesi che non hanno contatti con lei.
L’Iran ha anche contestato la decisione del Comitato per il Nobel, definendola un’azione di parte, cioè politicamente a favore di “una persona condannata per ripetute violazioni delle leggi e atti criminali”, come ha dichiarato il portavoce degli Esteri, Nasser Banani. Una seconda accusa sarebbe stata quella di un tentativo di occidentalizzare l’Iran attraverso lo strumento culturale del Nobel.
Nobel per la Pace a Narges Mohammadi: l’importanza per il passato e l’avvenire
Narges Mohammadi è stata solamente la nona donna che, dal 2000, ha vinto un Nobel per la Pace. Questo premio vuole quindi dimostrare e riconoscere l’importanza del movimento femminista in Iran che ogni giorno combatte contro un governo violento e criminale e in condizioni di estrema povertà. Il comitato ha voluto quindi esprimere la sua solidarietà attraverso questo riconoscimento, affermando la necessità di scarcerazione immediata di Mohammadi. Come anche sostengono le richieste pubblicate da Amnesty International, l’intera comunità internazionale deve richiedere la scarcerazione di Mohammadi senza condizioni.
Il comitato ha affermato che il premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi è un tributo alla lotta collettiva al movimento di “Donna, Vita e Libertà” e a tutte quelle donne che hanno avuto il coraggio di andare contro una così potente rete di discriminazione. Non è facile fare attivismo per i diritti delle donne in Iran. Molte persone, sopratutto gli uomini, non si sentono parte di questa lotta e favoriscono così la normalizzazione della violenza di genere. Narges Mohammadi ha promesso di rimanere in Iran dopo la sua scarcerazione, con la promessa di una nuova lotta, una nuova meta da raggiungere. Da tutta la sua vita è infatti concentrata nel trovare quanti più strumenti possibili per portare avanti le sue lotte. Oltre a lettere, messaggi di solidarietà e articoli, Mohammadi ha chiesto alle Nazioni Unite di includere nella definizione di crimini contro l’umanità anche l’apartheid di genere.
“Sicuramente il premio Nobel per la Pace mi renderà più resiliente, determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso, e accelererà il mio ritmo”
La scarcerazione immediata è fortemente voluta anche per rendere possibile la presenza di Mohammadi alla cerimonia di dicembre, quando ci sarà il ritiro del premio. Ad oggi però, nonostante la grande rete di solidarietà e pressione mediatica che si sta creando, la prospettiva non sembra essere positiva. Da questo premio però si può estrapolare un importante pilastro della lotta femminista contro uno Stato oppressore. Una donna che, oltre il carcere e la violenza, continua a lottare per una vita degna di essere chiamata tale.
Lucrezia Agliani