No Tech for Apartheid: la protesta dei dipendenti Big Tech

Università di Torino contro Israele No Tech for Apartheid

Mentre la guerra in Medioriente diventa sempre più violenta, i dipendenti delle Big Tech protestano: “Nessuna tecnologia per l’apartheid”

No Tech for Apartheid” è lo slogan che ha unito oltre un migliaio di dipendenti delle Big Tech, in particolar modo Google e Amazon, contro l’esportazione di tecnologie cloud al governo e all’esercito israeliani.

L’associazione è nata nel 2021, con la firma del cosiddetto Project Nimbus. Ossia, una serie di contratti – dal valore di oltre un miliardo di dollari – stipulati da Israele con le Big Tech per consentire al governo di spostare i propri sistemi informatici su una piattaforma basata sul cloud. Inoltre, Nimbus prevede la fornitura di sistemi di sorveglianza futuristici, basati su modelli avanzati di intelligenza artificiale.

Mentre le forze di occupazione israeliane bombardavano case, cliniche e scuole a Gaza e minacciavano di cacciare le famiglie palestinesi dalle loro case a Gerusalemme nel maggio 2021, i dirigenti di Amazon Web Services e Google Cloud hanno firmato un contratto da 1,22 miliardi di dollari per fornire tecnologia cloud al governo e all’esercito israeliani.
Facendo affari con l’apartheid israeliana, Amazon e Google renderanno più facile per il governo israeliano sorvegliare i palestinesi e costringerli a lasciare la loro terra.
Stiamo ascoltando l’appello di oltre 1000 lavoratori di Google e Amazon a sollevarsi contro il contratto, noto come Project Nimbus.

La tecnologia dovrebbe essere usata per unire le persone, non per consentire l’apartheid, la pulizia etnica e il colonialismo

Dallo scorso 7 ottobre, con l’escalation del conflitto tra Israele e Palestina, No Tech for Apartheid ha organizzato manifestazioni, proteste sit-in all’interno delle aziende, e ha rilasciato dichiarazioni pubbliche.
Ad oggi, l’associazione ha raccolto l’adesione di oltre 95.000 persone e il supporto di numerose organizzazioni umanitarie.

Tutto ciò, ha causato licenziamenti e arresti tra i dipendenti di Google e Amazon, che difendono la posizione delle loro aziende.

Big Tech e guerra in Medioriente: qual è il legame con Israele?

Dopo gli eventi del 7 ottobre, che hanno portato all’inasprimento del conflitto tra Israele e Gaza, il CEO di Google, Sundar Pichai, allo stesso modo di Meta, Amazon, Microsoft e IBM, ha espresso solidarietà e offerto supporto a Israele, senza menzionare mai il popolo palestinese.
Il quale, a questo punto, conta più di 40.000 morti tra la completa devastazione delle sue città e strutture principali.

Gran parte della potenza militare di Israele dipende dall’utilizzo di tecnologie avanzate e intelligenti, come i software “Lavender”, “The Gospel” e “Where’s Daddy?”, utilizzati per creare una lista di decine di migliaia bersagli, e per segnalare il momento più proficuo per l’attacco.
Anche se non è stato stabilito il grado di coinvolgimento delle Big Tech nella guerra, sappiamo per certo che da loro provengono le infrastrutture base per determinati software. Come chip avanzati per computer, software e cloud computing.

Proprio la concessione di servizi cloud, tramite il Project Nimbus siglato nel 2021, ha portato centinaia di dipendenti di Google e Amazon a protestare.

Ma sono molte le grandi aziende tecnologie che svolgono un ruolo critico nel conflitto.
Nvidia, leader nel mercato dei chip, sta espandendo le sue operazioni di ricerca e sviluppo in Israele.
Intel ha annunciato un investimento di 25 miliardi di dollari in un impianto di chip in Israele, mentre Microsoft ha lanciato una nuova regione cloud di Azure nel Paese. Inoltre, ha fornito spazio di cloud computing per l’app “Almunasseq“, utilizzata dall’esercito israeliano per rilasciare permessi ai palestinesi nei territori occupati.
Altre aziende, come Hewlett Packard, Cisco e Dell, forniscono tecnologia al servizio delle autorità militari e carcerarie israeliane.

Un altro caso è quello di IBM, un tempo principale fornitore di computer per il registro nazionale della popolazione e per il sistema di passaporti utilizzati durante il regime sudafricano dell’apartheid.
Ancora oggi, secondo Who Profits (centro di ricerca indipendente dedicato a denunciare il coinvolgimento commerciale nell’occupazione israeliana della terra e della popolazione palestinese e siriana) IBM sarebbe in gran parte responsabile della sorveglianza attuata contro la popolazione palestinese.

IBM ha progettato e gestisce il sistema Eitan dell’Autorità israeliana per la popolazione, l’immigrazione e le frontiere [PIBA], dove le informazioni personali sul popolo palestinese e siriano occupato, raccolte da Israele, sono archiviate e gestite

Per quanto riguarda i social media, Human Rights Watch ha riferito che Meta reprime i post pro-palestinesi su Facebook e Instagram. Ma anche X (ex Twitter), YouTube e TikTok sarebbero coinvolti nella censura di contenuti favorevoli alla Palestina, o considerati “terroristici“.

Così, mentre Israele usufruisce delle tecnologie delle grandi Big Tech, queste crescono molto velocemente.
Difatti, il settore tecnologico locale di Israele – che ospita il 10% delle aziende che valgono almeno 1 miliardo di dollari – rappresenta il 14% dei posti di lavoro e genera circa il 20% del PIL del paese.
A partire dal 2019, sono stati investiti 32 miliardi di dollari in società israeliane, di cui il 51% guidato o co-guidato da investitori con sede negli USA.

Project Nimbus: l’impatto di Google e Amazon nel conflitto

Lo scorso febbraio, in una conferenza dedicata al Project Nimbus, il capo del National Cyber Directorate israeliano, Gaby Portnoy, ha attribuito al progetto un grande ruolo nella guerra in Medioriente.

Stanno accadendo cose fenomenali in battaglia grazie al cloud pubblico Nimbus, cose che hanno un impatto per la vittoria. E non condividerò i dettagli

Il progetto, nato nel 2019 e gestito dal Ministero delle Finanze, aveva come obiettivo quello di aggiornare le tecnologie utilizzate dal governo israeliano. Questo, aveva il compito di scegliere i fornitori di cloud preferiti, i quali avrebbero costruito nuovi data center per archiviare i dati in modo sicuro all’interno del Paese.
Non era previsto il coinvolgimento dell’esercito, fino a che, nel 2022, il Ministero delle Finanze non lo ha dichiarato ufficialmente alla stampa.




Il progetto Nimbus è un progetto per fornire servizi di cloud pubblico al governo, al dipartimento della difesa e all’IDF. Gli organi di sicurezza competenti sono stati partner di questo progetto fin dal suo primo giorno, e sono ancora partner a pieno titolo

Il governo israeliano, insieme al Ministero della Difesa e all’esercito, hanno scelto come fornitori cloud Google e Amazon. I quali, per clausole contrattuali, non avrebbero in ogni caso potuto rifiutarsi di fornire servizi a entità governative.
Tra questi, oltre allo spazio cloud, sono comprese funzionalità di intelligenza artificiale. Come il rilevamento dei volti, il tracciamento degli oggetti, l’analisi del sentiment e altre attività complesse.

L’impatto di queste tecnologie sulla popolazione palestinese, analizzato dai giornalisti della rivista Wired, ha confermato come il Project Nimbus sia legato in modo inestricabile alle Forze di Occupazione Israeliana, e più specificatamente nelle attuali operazioni in Palestina.

L’impatto dannoso dell’apartheid israeliano sui palestinesi è ben documentato. Recentemente, organizzazioni come Human Rights Watch e B’Tselem, con sede in Israele, hanno pubblicato rapporti che fanno eco a ciò che i palestinesi dicono da generazioni: il governo israeliano sta gestendo un regime di apartheid.
Google e Amazon stanno facendo affari con l’apartheid.

I palestinesi sono già danneggiati dalla sorveglianza militare e dalla repressione israeliana. Espandendo la capacità di cloud computing pubblico e fornendo la loro tecnologia all’avanguardia al governo e all’esercito israeliano, Amazon e Google stanno contribuendo a rendere l’apartheid israeliano più efficiente, più violento e ancora più letale per i palestinesi. La tecnologia dovrebbe essere usata per unire le persone, non per facilitare e radicare la violenza, l’occupazione e l’accaparramento delle terre.

I servizi cloud di Google e Amazon possono essere utilizzati per consentire l’espansione israeliana degli insediamenti illegali supportando la raccolta di dati per l’Autorità Territoriale Israeliana (ILA), parte del governo israeliano. L’ILA utilizza politiche discriminatorie per espandere gli insediamenti ebraici segregati, intrappolando i palestinesi in aree densamente popolate e limitando la crescita delle comunità palestinesi

In merito alle accuse, la portavoce di Google, Anna Kowalczyk, ha dichiarato, in una mail inviata al sito di Wired, che l’azienda non permette l’utilizzo delle proprie tecnologie in situazioni ad alto rischio.

Il contratto Nimbus riguarda i carichi di lavoro in esecuzione sul nostro cloud commerciale da parte dei ministeri del governo israeliano, che accettano di rispettare i nostri Termini di servizio e la nostra politica di utilizzo accettabile

Tra i Termini di servizio, c’è il divieto di svolgere “attività ad alto rischio“. Ossia, nelle quali “si prevede che l’uso o il malfunzionamento dei Servizi possa ragionevolmente causare morte, lesioni personali o danni ambientali o alla proprietà (come la creazione o il funzionamento di impianti nucleari, controllo del traffico aereo, sistemi di supporto vitale o armi)”.

Amazon, tramite il portavoce Duncan Neasham, ha affermato l’interesse dell’azienda nel supporto umanitario verso le aree in guerra.

Ci impegniamo a garantire che i nostri dipendenti siano al sicuro, a sostenere i nostri colleghi colpiti da questi terribili eventi, e a lavorare con i nostri partner di soccorso umanitario per aiutare coloro che sono stati colpiti dalla guerra

Amazon non ha rilasciato dichiarazioni riguardanti il proprio ruolo all’interno del Project Nimbus.

No Tech for Apartheid: “basta genocidio a scopo di lucro”

Dopo la pubblicazione delle indagini di Wired sul Project Nimbus, molti dipendenti di Google e Amazon hanno deciso di prendere le distanze dalle aziende, chiedendo pubblicamente che il contratto venga cancellato.

Lo scorso 16 aprile, nove dipendenti di Google sono stati arrestati in California per aver messo in scena un sit-in pacifico, della durata di diverse ore, contro il Project Nimbus.
I partecipanti hanno esibito diversi cartelloni, alcuni scritti con i colori del logo Google, e riportanti frasi come: “Human Lives over Profit“, “No More Genocide for Profit“, “No AI for Military” e “Stop the Retaliation“.
In seguito alla manifestazione, l’azienda ha deciso di licenziare 28 dipendenti, con l’accusa di aver impedito ad alcuni lavoratori di svolgere le proprie mansioni, e aver creato un’atmosfera minacciosa.

I manifestanti, tuttavia, hanno dichiarato che le accuse sono state travisate, e che il licenziamento è una “rappresaglia“. Infatti, pare che non ci fosse un clima minaccioso, ma che il sit-in abbia ricevuto un sostegno decisivo da parte dei colleghi che non avevano partecipato.

Questo flagrante atto di rappresaglia è una chiara indicazione che Google apprezza il suo contratto da 1,2 miliardi di dollari con il governo e l’esercito israeliano genocidi più dei propri lavoratori

Nel frattempo, Chris Rackow, Head of Global Security di Google, ha lanciato un monito ai dipendenti.

Se siete tra i pochi che sono tentati di pensare che trascureremo i comportamenti che violano le nostre politiche, ripensateci

Inoltre, Pichai ha sottolineato che Google richiede ai dipendenti standard elevati, e che non l’azienda non può essere usata una piattaforma per comportamenti dirompenti o dibattiti politici.

Ad ogni modo, le proteste di No Tech for Apartheid non si sono fermate.

Quando è troppo è troppo. Google è in grado di funzionare solo grazie a noi, i suoi lavoratori.
Non vogliamo che il nostro lavoro venga usato per il genocidio e l’apartheid.
Loro sono pochi e noi siamo molti.
Ci impegniamo a intensificare la nostra organizzazione in modo proporzionale

Giulia Calvani

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