A Modena, si è svolta la decima edizione del DIG Festival 2024, intitolata “J’Accuse”, che ha visto come protagonisti due figure di spicco del panorama antimafia italiano: il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e lo scrittore e giornalista Saverio Lodato. L’occasione dell’incontro è stata la presentazione del loro ultimo libro, “Il colpo di spugna”, edito da Fuoriscena, evento che ha catalizzato l’attenzione del pubblico presso il complesso San Carlo.
Nino Di Matteo, noto per il suo impegno nelle indagini più delicate sulla criminalità organizzata, ha espresso con chiarezza e fermezza le sue preoccupazioni riguardo alla situazione attuale nella lotta alla mafia. Secondo lui, la mafia, seppur colpita duramente negli ultimi decenni grazie al sacrificio di molti servitori dello Stato, non è mai stata realmente sconfitta. Di Matteo ha sottolineato come la criminalità organizzata continui a evolversi, adattandosi ai cambiamenti sociali, economici e politici. Nonostante l’opinione pubblica sembri percepire una riduzione del fenomeno mafioso, la realtà è ben diversa.
L’incontro ha toccato molteplici aspetti, offrendo al pubblico una riflessione profonda sullo stato attuale della giustizia italiana e sul ruolo delle istituzioni. Saverio Lodato, affermato giornalista che ha dedicato gran parte della sua carriera alla cronaca giudiziaria, ha contribuito a dare un quadro chiaro e articolato di come la mafia sia mutata nel tempo. Secondo Lodato, la mafia ha saputo infiltrarsi nei meccanismi della società moderna, assumendo forme sempre più subdole e difficili da individuare, e ciò rende ancora più complesso il lavoro di chi cerca di combatterla.
“Il colpo di spugna”, il libro che i due autori hanno presentato, non è solo una cronaca di fatti storici o giudiziari, ma rappresenta un’accusa rivolta alle istituzioni e al sistema politico, colpevoli, secondo Di Matteo e Lodato, di non aver fatto abbastanza per eradicare il fenomeno mafioso.
Il titolo stesso del libro evoca l’idea di una pulizia superficiale, di un tentativo di cancellare il passato senza realmente affrontarne le cause profonde. Questo, secondo i due autori, è ciò che è accaduto negli ultimi anni: dopo le grandi operazioni di polizia e giustizia degli anni ’90, che hanno portato alla cattura di molti boss di Cosa Nostra, l’attenzione sulla mafia si è affievolita e l’apparato statale ha smesso di combatterla con la stessa determinazione.
Di Matteo ha voluto ricordare le difficoltà che molti magistrati e investigatori ancora oggi affrontano nel loro lavoro quotidiano contro la mafia, non solo per la pericolosità intrinseca di questa lotta, ma anche per l’ostilità che talvolta proviene dagli stessi apparati dello Stato. Non sono mancati, nel suo intervento, riferimenti a momenti cruciali della sua carriera, come le indagini sulla trattativa Stato-mafia, che hanno sollevato non poche polemiche negli ultimi anni. A suo parere, il rischio maggiore è che si faccia passare l’idea che la mafia, una volta decapitata la sua struttura militare, sia un fenomeno ormai marginale. Nulla di più lontano dalla realtà, ha affermato Di Matteo.
Lodato ha parlato di come il giornalismo italiano abbia, in alcuni casi, contribuito a creare un’immagine distorta del fenomeno mafioso. Secondo lui, sebbene ci siano stati giornalisti coraggiosi che hanno pagato con la vita il loro impegno per raccontare la verità, altri si sono piegati alle logiche del potere, preferendo tacere o minimizzare l’influenza della criminalità organizzata. Questo atteggiamento, ha sottolineato Lodato, ha contribuito a creare una percezione falsata del problema, facendo credere che la mafia fosse stata sconfitta quando, in realtà, si era solo nascosta meglio.
Entrambi gli autori hanno posto l’accento su un punto fondamentale: la mafia non è un problema circoscritto al Sud Italia, come spesso si tende a pensare. Oggi la criminalità organizzata ha ramificazioni in tutto il Paese e, in alcuni casi, anche all’estero. Il potere della mafia risiede nella sua capacità di intessere legami con la politica, l’economia e le istituzioni, rendendola un fenomeno globale. Di Matteo ha parlato di una “borghesia mafiosa”, ovvero di una parte della società che, pur non essendo direttamente coinvolta in attività criminali, ne trae vantaggi economici o politici, collaborando con la criminalità organizzata in modo silenzioso ma efficace.
Un altro tema centrale affrontato durante la serata è stato quello della memoria. Di Matteo ha ricordato con commozione le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati simbolo della lotta alla mafia, assassinati nei primi anni ’90. Secondo il magistrato, è fondamentale che le nuove generazioni non dimentichino il sacrificio di chi ha lottato per liberare il Paese dal giogo della criminalità organizzata. La memoria, però, deve essere accompagnata dall’azione, perché, come ha sottolineato Di Matteo, “non si può onorare veramente chi è caduto se non si continua a combattere per gli stessi ideali”.
Un passaggio importante del dibattito è stato riservato alla riflessione sul rapporto tra giustizia e politica. Di Matteo ha espresso parole dure nei confronti di quella parte del mondo politico che ha ostacolato in vari modi il lavoro della magistratura. Ha fatto riferimento, senza troppi giri di parole, a coloro che hanno cercato di screditare il lavoro dei giudici impegnati nelle indagini sulla mafia, spesso accusandoli di fare “politica” piuttosto che giustizia. Questo atteggiamento, ha affermato il magistrato, ha contribuito a indebolire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, favorendo, di fatto, la criminalità organizzata.
Saverio Lodato ha concluso il dibattito con un appello al giornalismo: secondo lui, i media hanno il dovere di raccontare la verità, anche quando è scomoda, e di dare voce a chi combatte ogni giorno per la giustizia. Ha invitato i giovani giornalisti a non avere paura di affrontare temi complessi come quello della mafia, perché solo attraverso una corretta informazione si può sperare di cambiare la società.
La presentazione de “Il colpo di spugna” al DIG Festival 2024 ha rappresentato non solo un’occasione per riflettere sul passato e sul presente della lotta alla mafia, ma anche un monito per il futuro. Nino Di Matteo e Saverio Lodato, con la loro esperienza e il loro impegno, hanno lanciato un messaggio chiaro: la mafia non è sconfitta, e la battaglia per la giustizia deve continuare senza esitazioni o compromessi.