Niente guerre solo opere d’odio

Niente guerre solo opere d’odio

foto: Il populista

Niente guerre solo opere d’odio

Bastano una manciata di pessimi esseri umani per far cadere il velo delle nostre coscienze, poche persone che si assumo la retorica responsabilità di dire sfacciatamente quello che noi mai avremmo ammesso. Da quel momento in poi si innesca quello che potremmo definire “sdoganamento a catena”. Non è un processo imitativo, non è un adeguamento al pensiero del più forte (o presumibilmente tale), ma piuttosto un vero e proprio processo di legittimazione del peggio di noi.

Ci fa comodo, è un meccanismo sociale che al contempo aderisce ma non ci rende mai del tutto responsabili delle conseguenze che tale legittimazione provocherà. Insomma, delegare ad altri i nostri odi, i nostri limiti, le nostre rabbiose paure è facile, comodo e, soprattutto, senza immediate conseguenze.

Alla vigilia della prima guerra mondiale essere pacifisti non significava semplicemente essere vili, ma addirittura pazzi; la guerra si preparava ad esplodere almeno da vent’anni e niente doveva fermarla. Il conflitto rinvigoriva, era un sacro fuoco nel quale forgiare tempi nuovi, non un male necessario, bensì il passo fondamentale per l’avvento di una nuova era e chi non lo accettava era un folle affetto da un deleterio e anacronistico delirio.  Ebbene questo passo per la gloria di tempi migliori fece 16 milioni di morti e mise un intero continente in ginocchio. Davvero tutti credevano che fosse così, anche figure illustri come Mann o Salvemini, la guerra era per tutti, come scrisse Marinetti, “La sola igiene del mondo”.   

Oggi è diverso, o meglio, crediamo sia diverso. Tutti siamo persuasi che la guerra sia un male, infatti la teniamo geograficamente lontana: ci piace andarla a fare fuori dalle nostre case e, soprattutto l’abbiamo apparentemente spogliata del suo valore ideologico o sacro  vestendola di “civiltà e giustizia”: andiamo lì dove si annida il male, che poi c’è pure petrolio o tante altre materie prime è solo un caso, non facciamo illazioni!

Dobbiamo trovare comunque il pretesto della “guerra giusta” a costo di inventarci armi di distruzione di massa in Iraq ma dobbiamo trovarlo.  Quindi come una volta dobbiamo avere un pretesto, un nemico, e come una volta dobbiamo dipingerlo come il male assoluto – solo in un modo più laico – e, soprattutto, “deve stare lontano”, quel tanto da spaventare le nostre  coscienze senza però coinvolgerle troppo. La guerra deve essere orwelliana: gli ordigni devono intimorirci come lontane eco ma non fare danni … in casa.

Però le indolenze, le intolleranze, gli odi sono comulativi,  sapere che stiamo portando giustizia “altrove” da noi non appaga i nostri più miserevoli e profondi intenti. Come sfogarci allora?

Tutti abbiamo mostri dentro e per non ammettere che sono tutti nostri  dobbiamo sputarli fuori, dar loro un nome che non sia il nostro; e allora che fare?   Nessun problema, è presto fatto. Ci basta aspettare il primo imbecille che ci dice la minaccia assoluta è rappresentata da “altri”, in genere sempre pescati nelle pieghe più emarginate della società, un lavoro sporco ma efficace: a chi è simpatica l’emarginazione, a chi piacciono la povertà e il degrado e l’umano che a loro associamo? Dunque trovata la minaccia costruito il nemico, un nemico in fin dei conti inerme ma riconosciuto come “fastidioso”, poco gradevole sia per condizione sociale che per razza e fede… un capro espiatorio ideale. Certo, prima che l’imbecille ci dicesse che era un nemico potevamo pensarlo ma mai lo avremmo ammesso, ma visto che l’imbecille fa il lavoro sporco per noi un domani potremo dire “non lo pensavo davvero, ma in quel momento l’imbecille mi ha detto che era così e mi sembrava vero”.

Io invece preferisco non pensarla così, non vedo nemici se non mi si dichiarano tali, poi l’imbecille può dirmi che sono un buonista, ma poco male, non posso offendermi perché me lo ha detto un imbecille.  

fonte foto: www.ilpopulista.it

 

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