La sentenza tanto attesa è arrivata: niente carcere per Matteo di Pietro, lo youtuber coinvolto nella morte di Manuel Proietti.
Il fato di Matteo di Pietro, una figura centrale nei The Borderline, sembra essersi radicalmente alterato da quel fatidico 14 giugno 2023, distante appena sette mesi. Quel giorno, il giovane di 20 anni, una volta volto prominente del gruppo di Youtuber, ha varcato la soglia dell’aula di giustizia, avvolto in un piumino scuro, per affrontare le conseguenze del tragico incidente che ha provocato la morte del piccolo Manuel Proietti, di soli cinque anni, a Casal Palocco, in provincia di Roma. Una morte causata per una sfida di velocità che ha avuto poi un epilogo tragico.
Il suo destino si è intrecciato a quello di una Lamborghini noleggiata, trasformando un momento di svago in una tragedia incommensurabile. La sua condanna è giunta implacabile: quattro anni e quattro mesi di reclusione, riconosciuto colpevole di omicidio stradale aggravato e lesioni. Tuttavia, la particolarità di questa sentenza risiede nel fatto che Matteo non trascorrerà la sua pena dietro le fredde sbarre di un carcere.
Il verdetto ha suscitato un profondo dibattito sulla giustizia e sulla sua applicazione. Come può un individuo, responsabile della morte di un bambino, non essere condannato alla privazione della libertà? È questo il prezzo della giustizia, o un paradosso inaccettabile?
A spiegare perché di Pietro non andrà in carcere è Matteo Melandri, l’avvocato che assiste la famiglia del bimbo morto nell’incidente:
«Di Pietro, dopo sei mesi ai domiciliari, ha ottenuto il patteggiamento della pena ed è stato condannato per omicidio stradale aggravato e lesioni. Al giovane youtuber sono state riconosciute le attenuanti generiche».
Infatti, di Pietro ha già scontato gli arresti domiciliari per sei mesi, patteggiando una pena a quattro anni e quattro mesi di reclusione. Ciò significa che di Pietro dovrebbe ancora scontare circa tre anni e sei mesi, un lasso di tempo inferiore ai quattro anni, permettendogli così di richiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Inoltre, di Pietro non ha mai avuto dei precedenti penali e, in tutto questo tempo, non ha mai attuato dei comportamenti contro la legge. Subito dopo la terribile vicenda del 14 giugno 2023, si era mostrato pentito, riconoscendo subito le sue responsabilità.
Melandri continua:
«Eravamo preparati, non è stata una sorpresa. Resta la tragedia per una famiglia, per una madre. Ora abbiamo una condanna che rispettiamo ma non potrà restituire la vita di un bimbo di 5 anni».
L’opinione pubblica è divisa, e il caso di Matteo di Pietro alimenta una riflessione collettiva sulla vera essenza della giustizia. Le domande si susseguono: è questa la giusta via per perseguire la verità e garantire un equo risarcimento alle vittime? La sentenza, che sembra quasi disconnettersi dalla crudezza della tragedia, apre una breccia in cui si insinuano dubbi e interrogativi morali.
Infatti, Domenico Musicco, presidente dell’Associazione vittime incidenti stradali (Avisl) onlus, non si è trovato per niente d’accordo con tale decisione:
«La pena comminata per omicidio stradale per lo youtuber è troppo bassa. C’erano tutte le aggravanti e la velocità era quattro volte superiore al consentito in una zona 30. Così non si fa giustizia per la famiglia del bambino ucciso. Di Pietro potrà usufruire delle misure alternative al carcere e la concessione del patteggiamento si risolve di fatto in una pena irrisoria. Non è una bella pagina per le vittime della strada».
La storia di Matteo di Pietro si insinua così nella trama della cronaca giudiziaria, un capitolo carico di sfumature etiche e di riflessioni sulla natura della punizione. Mentre il giovane affronterà la sua pena in una forma alternativa, il pubblico resta in attesa di risposte, cercando di comprendere il significato profondo di questa vicenda e le implicazioni che essa porta con sé.
In un momento in cui la giustizia si scontra con il dolore delle vittime e la complessità delle situazioni, la storia di Matteo di Pietro diventa un banco di prova per la società stessa, chiamata a riflettere sulla sua capacità di gestire tragedie così complesse.
Patricia Iori