Nicola Zingaretti: in attesa della rivoluzione si poteva intanto optare per la discontinuità. Perché di discontinuità nel Conte bis ne abbiamo vista poca.
Nicola Zingaretti è il segretario del PD da nove mesi. La sua intervista di ieri in cui annuncia di voler “sciogliere il PD per fondare un partito nuovo” [e non un nuovo partito!], non è molto diversa da quella rilasciata all’indomani della sua elezione ormai lo scorso anno.
Un partito rinnovato, plurale, che apra alla società civile, ai sindaci, all’ambientalismo, oggi alle Sardine. Tutte cose già sentite e risentite molte volte, troppe da quando è stato eletto, insieme ad alcune proposte, poche e tutte disattese, di avvicinare le persone al partito, penso ad esempio alla costituente delle Idee di cui nemmeno un’idea ci è rimasta impressa, o alla proposta di spostare la sede dal Nazareno e aprire più sedi in zone periferiche: proposta debole, debolissima e a mio avviso di nessuna utilità. Non era (e non è) certo questa l’azione di rinnovamento che ci sia aspettava da un partito derenzizzato (anche se ancora fortemente permeato di renzismo e renziani che siedono in parlamento tra le fila del Pd).
Emanuele Macaluso scrive benissimo che in “attesa della rivoluzione si poteva intanto optare per la discontinuità”, riflessione più che sacrosanta e che centra in pieno il punto. Perché di discontinuità nel Conte bis ne abbiamo vista ben poca e forse praticarla nell’azione di governo sarebbe stata la prova provata che davvero il PD di Zingaretti era altro e altrove [parlo inevitabilmente dei decreti sicurezza ma di tanto altro].
Oggi Zingaretti dice che ci sarà un congresso che cambierà tutto, io mi auguro che sarà un congresso di idee, di temi o di tesi come si diceva quando i partiti facevano politica, e non di nomenclatura e selezione di classe dirigente per riposizionare nomi e cognomi. Perché, per citare ancora Macaluso: il PD può aprire alla società civile, alle sardine e ai sindaci ma la società civile aprirà (ancora) al PD?
Nicoletta Agostino