L’ultimo atto di Ni Una Menos nell’anno delle proteste delle donne messicane
Gli occhi del mondo guardano ancora verso la Polonia e alla portata rivoluzionaria della protesta femminista di questi ultimi giorni. Ma c’è un altro paese in cui la rivolta femminista insorge per un motivo altrettanto valido e urgente. Se le donne polacche lottano perché il loro diritto all’aborto non venga negato, le donne messicane si stanno ribellando contro i femminicidi e la violenza di genere. In Messico, infatti, vengono uccise circa dieci donne al giorno. Secondo alcuni dati, negli ultimi quattro anni il tasso di femminicidi sarebbe aumentato del 111%.
Gli ultimi due femminicidi sono avvenuti lo scorso fine settimana. La reazione non si è fatta attendere e Ni Una Menos ha organizzato una nuova manifestazione di protesta.
Grazie a Ni Una Menos – gemella dell’italiana Non Una Di Meno – un gruppo di manifestanti si è radunato a Cancùn, luogo dove è stato ritrovato il corpo di una ragazza ventenne scomparsa pochi giorni prima. La manifestazione è stata ostacolata dalla repressione della polizia. E secondo alcune testimonianze, gli agenti hanno sparato colpi di pistola in aria per spaventare i partecipanti. E’ solo l’ultima di una lunga serie di proteste portate avanti in questo anno dalle donne messicane. La prova di un problema ai danni delle donne che il Messico continua ad ignorare.
Le donne messicane non fanno un passo indietro
Nonostante le difficoltà e gli eventi che hanno catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica, in questo ultimo anno le femministe messicane non hanno smesso di far sentire la propria voce. Dall’inizio del 2020, le manifestazioni contro la violenza di genere ed i femminicidi hanno scosso il Messico. Solo nello scorso anno il paese ha visto la morte di 4000 donne, 1000 tra questi delitti sono stati classificati come femminicidi. Nonostante ciò, il presidente Andrés Manuel López Obrador ha deciso di ignorare la necessità di maggiore tutela. Le proteste della “primavera femminista”, sempre più sentite e sempre più violente hanno raggiunto il culmine lo scorso settembre.
Il 2 settembre, infatti, Silvia Castillo e Marcela Aleman hanno rifiutato di lasciare gli uffici dell’edificio sede della Commissione per i Diritti Umani a Città del Messico. Un segno spontaneo di protesta contro la mancata giustizia per i loro casi. L’ assassinio del figlio per la prima, l’aggressione della figlia di quattro anni per la seconda.
In loro sostegno, l’arrivo spontaneo dei collettivi femministi della città. Rinominato il centro di accoglienza Okupa Casa Refugio Ni Una Menos México, in poche settimane il luogo è diventato simbolo della resistenza femminista del paese.
Senza più alcuna pazienza né alcuna paura, le donne messicane non hanno intenzione di fermarsi. Ne è esempio l’ultima mobilitazione dello scorso lunedì. I toni del contrasto tra manifestanti e rappresentanti della sicurezza si inaspriscono sempre di più. Invece di mostrare loro supporto, i tentativi di intimidazione si fanno più ostili e aggressivi. Eppure l’esigenza che nessuna subisca più una condanna a morte scritta dalla violenza di genere si è rafforzata. La battaglia per la quale stanno lottando ormai è troppo importante ed è vietato fare un passo indietro.
Carola Varano