Se avete meno di trent’anni e abitate da questa parte dell’oceano, può darsi che il nome di Newt Gingrich non accenda nessuna particolare lampadina nella vostra memoria. Ma la sua è una storia che vale la pena di conoscere, per capire cos’è successo alla politica americana negli ultimi trent’anni, com’è avvenuta la sua polarizzazione e radicalizzazione e come, incredibilmente, dopo qualche anno tutti questi fenomeni si ripropongano uguali a casa nostra.
Newt Gingrich è un elegante signorotto di 77 anni. Ha un aspetto rassicurante e un’espressione aperta. Nella vita avrebbe potuto fare il professore di storia, aprire una trattoria in provincia o dirigere l’ufficio postale della città: ha un volto pulito, un incedere calmo, un sorriso affabile. Nella vita invece ha fatto il politico e, in qualche modo, lo fa ancora. Non un politico qualunque: per molti Newt Gingrich è stato colui che ha rotto la politica americana, con uno sforzo particolare per spogliarla dei suoi tratti civilizzati e riportarla alla sua essenza più primordiale.
La giovinezza
Newt Gingrich nasce nel 1943 in Pennsylvania. Da bambino sviluppa un interesse per la politica e la storia: visitando la città di Verdun in Francia subisce una sorta di folgorazione, che segna i suoi studi e la sua carriera. In effetti, poi, professore di storia lo diventa davvero, anche se a margine tiene sempre l’amore per la politica. Milita nel partito repubblicano, anche se i suoi interventi hanno rilevanza solo a livello locale o poco più.
Il discorso di Atlanta
Il 24 giugno del 1978 Gingrich si trova ad Atlanta, ha 35 anni e insegna al West Georgia College. Qui tiene un discorso davanti a dei giovani attivisti. Il partito repubblicano non è nella sua forma migliore: sei anni prima era scoppiato il caso Watergate, decine di repubblicani erano stati spazzati via e i pochi sopravvissuti stavano ancora recitando la parte della “minoranza permanente”. Il giovane professore, però, a questa triste rassegnazione mista a senso di vergogna non ci sta. Secondo lui i repubblicani non saranno mai in grado di riprendersi la Camera finché continueranno ad accettare i compromessi dei democratici.
Newt Gingrich, insomma, vede il male nelle coalizioni bipartisan, negli accordi tra partiti e nelle battaglie comuni. La sua strategia, quindi, è chiara: far saltare i tavoli, facendo esplodere le coalizioni essenziali per legiferare, sottolineando la disfunzione di un Congresso senza identità. E, per farlo, non c’è niente di meglio di una bella crociata populista.
“La sua idea era di puntare verso un’elezione nazionale in cui le persone fossero così disgustate da Washington e dal modo in cui funzionava da sbarazzarsi dei dettagli e portare dentro ciò che c’era fuori“.
Norm Ornstein, politologo
La rivoluzione repubblicana
Siamo dunque al 24 giugno del 1978 e siamo ad Atlanta. Qui Gingrich pronuncia un discorso per fomentare una vera e propria rivoluzione repubblicana.
“Uno dei grandi problemi che abbiamo nel Partito repubblicano è che non ti incoraggiamo a essere cattivo. Ti incoraggiamo ad essere pulito, ubbidiente e leale e fedele, e tutte quelle parole del boy scout, che sarebbero grandiose intorno al fuoco ma sono pessime in politica. Per avere successo, la prossima generazione di repubblicani dovrà imparare a suscitare l’inferno, dovrà smettere di essere simpatica. La politica è soprattutto una guerra per il potere: bisogna comportarsi di conseguenza”
Dal discorso di Newt Gingrich, Atlanta, 1978
Gingrich a questo punto è ancora solo un professore sconosciuto, privo di riconoscimenti politici e anzi, con due candidature fallite al Congresso. Pochi mesi dopo, però, riesce a guadagnarsi un seggio e va a Washington, ossessionato dal sogno di diventare il repubblicano che ha descritto in quel giorno d’estate ad Atlanta.
Il linguaggio è la chiave
Arriviamo al 1988. In dieci anni Gingrich ha lavorato molto per diffondere tra i suoi l’idea di sabotare il Congresso. Ha iniziato a guadagnarsi una certa attenzione per il suo linguaggio e anche la sua influenza all’interno dei caucus repubblicani è in crescita: dozzine di conservatori sono alla ricerca di un leader come lui, sprezzante e lontano anni luce dalla palude politica del politically correct.
Gingrich attua una nuova strategia: inizia a chiamare i suoi nemici con soprannomi infantili ma sorprendentemente efficaci. Sempre più politici repubblicani, vogliono “parlare come Newt”. Si crea un nuovo vocabolario per una nuova generazione di conservatori. Newt Gingrich diffonde audiocassette e appunti, con il titolo “Lingua: un meccanismo chiave di controllo“. In queste annotazioni ci sono elenchi di parole raccomandate per descrivere i democratici in pubblico, tra cui figurano aggettivi come malati, patetici, bugiardi, anti-bandiera, traditori, radicali, corrotti.
Il bene contro il male
L’obiettivo di Gingrich è quello di ripensare i noiosi dibattiti di Washington e trasformarli in un’eterna battaglia tra bene e male, in cui in gioco vi è la sopravvivenza stessa dell’America, facendo leva sulle paure dell’elettorato. Ogni notizia inizia a essere utilizzata a scopo politico. Si scopre che Woody Allen ha una relazione con la figlia adottiva? “Si adatta perfettamente alla mentalità democratica“, dichiara Gingrich. Una donna squilibrata della Carolina del Sud uccide i suoi due figli? “Sintomo di una società malata”, commenta Gingrich “da cambiare votando per i repubblicani“. Nel 1993 si suicida Vince Foster, membro dello staff del neoeletto presidente Clinton. Gingrich fomenta pubblicamente le teorie cospirazioniste che suggerivano la pista dell’omicidio. Tutto finisce nel tritacarne della battaglia anti Clinton: Gingrich prende delle cose confinate ai margini e le trasforma in politica.
Le strategie
La base del suo consenso, intanto, si allarga sempre di più, anche se alcuni tra i Repubblicani rimangono scettici, scandalizzati dalla bassezza della strategia. I democratici, intanto, non stanno a guardare. Nel ruolo di speaker eleggono lo spietato Jim Wright. Inizia la guerra: Gingrich scatena contro Wright una campagna diffamatoria, che però si rivela in qualche modo fondata e travolge Wright in uno scandalo fiscale da 6 milioni di dollari evasi, regalando a Gingrich il ruolo di leader de facto del partito repubblicano.
Il contratto con l’America
Siamo a metà del 1994: Gingrich ha l’idea geniale di trasformare il giorno delle elezioni in un referendum nazionale. Riesce a radunare 300 candidati fuori dal Campidoglo per firmare il “Contratto con l’America (vi ricorda qualcosa?)”, un documento che delinea 10 progetti di legge promessi dai repubblicani in caso di vittoria alla Camera. Intanto, l’imperativo è uno solo: non collaborare. Non firmare nulla, non concedere nulla ai democratici e dare loro la colpa per l’immobilismo del Congresso: facile e altrettanto sfacciato.
Uomo dell’anno
Il piano, per quanto assurdo ed estremo, funziona. I repubblicani ottengono una delle vittorie più importanti della storia americana moderna: per la prima volta in 40 anni, i conservatori prendono il controllo di entrambe le camere. Gingrich diventa presidente della Camera dei rappresentanti il 4 gennaio del 1995, alla guida di giovani matricole conservatrici plasmate a sua immagine e somiglianza: conflittuali e spregiudicate, pronte a dare battaglia con qualsiasi mezzo. Il Time intanto nomina Newt Gingrich uomo dell’anno del 1995. A dare man forte alla spregiudicatezza comunicativa, arriva nel 1996 il canale Fox News, fondato da Rupert Murdoch. Da sempre de facto allineato ai repubblicani, in ogni momento tira fuori lo scandalo giusto e il polverone che serve per annientare i democratici.
Lo shutdown come ricatto
Gingrich, poi, ne inventa un’altra: il ricatto dello shutdown. I dipendenti statali vengono convinti a non andare al lavoro nel momento in cui si discute di finanziamenti statali. Nel 1995 centinaia di migliaia di statali rimangono a casa durante il periodo natalizio e i repubblicani usano i loro stipendi come mezzo di ricatto nei negoziati con la Casa Bianca. La strategia questa volta fallisce, ma assicura alla minaccia dello shutdown un ruolo fondamentale nelle successive battaglie politiche.
Lo scandalo Lewinsky
Arriva il 1998: Gingrich è sempre più agguerrito, spregiudicato e polarizzante. Non c’è affermazione pubblica in cui non siano presenti insulti, teorie cospirazioniste o volontà di ostruzionismo. In questo contesto, si presenta su un piatto d’argento una questione che è per Newt Gingrich manna dal cielo e che risponde al nome di Monica Lewinsky. I repubblicani più agguerriti vogliono praticamente la testa del presidente Clinton e Gingrich si getta a capofitto contro il presidente fedifrago e bugiardo.
“Questo è il più sistematico, deliberato occultamento della giustizia e lo sforzo per evitare la verità che abbiamo mai visto nella storia americana! Continuerò a battere il tamburo fino a quando Clinton non sarà oggetto di impeachment. Non parlerò mai più, finché parlerò, senza commentare questo argomento”.
Dal discorso di Newt Gingrich sullo scandalo Lewinsky
Qualcosa però inizia a scriccchiolare: l’impeachment di Bill Clinton non viene approvato. Il caso Lewinsky avrebbe dovuto essere un’opportunità per umiliare i democratici, a confermare quell’idea di politica come “guerra per il potere”, profetizzata tanti anni prima, ma qualcosa non ha funzionato. Al posto di guadagnare i potenziali trenta seggi intravisti dai sondaggi, i repubblicani ne perdono addirittura cinque.
Il declino
A determinare la completa disfatta repubblicana, ci sono tanti motivi: lo scandalo Lewinsky diventa talmente onnipresente nella vita di ogni cittadino americano in quelle giornate, da essere addirittura nauseante. All’interno del partito repubblicano, poi, iniziano a emergere tresche e relazioni extraconiugali che danno del filo da torcere allo stesso Gingrich, beccato a tradire la moglie con una donna più giovane di 23 anni. A fare da sottofondo, poi, c’è una situazione economica florida in generale per tutti gli Stati Uniti, che permette al presidente Clinton di farla politicamente franca, condonandogli lo scandalo.
Le dimissioni
Il veleno iniettato in modo certosino nel sistema per anni, ora, inizia a fare i suoi effetti anche contro Gingrich stesso. Inizia a perdere un po’ di popolarità e saltano fuori dettagli che dipingono un uomo spregiudicato anche nella vita privata, che divorzia dalla moglie quando questa è in ospedale per un cancro, per stare con la donna con cui l’ha tradita. Alcuni malumori in seno al partito repubblicano stesso lo costringono a dimettersi. Rinunciando alla carica di parlamentare, afferma di “non volere presiedere un gruppo di cannibali”.
Un personaggio minoritario?
Negli ultimi anni Gingrich sembra essere rimasto un personaggio minoritario sulla scena repubblicana. Ha raccolto fondi, ha scritto libri e ha fatto l’opinionista per Fox News. Ha supportato la moglie Callista nel suo ruolo di ambasciatrice degli Usa presso la Santa Sede. Ogni tanto, poi, allude a una possibile candidatura per la presidenza, forse più per attrarre attenzioni e investitori. Fedele sostenitore di Donald Trump, nel 2016 ha rinunciato a un posto nell’amministrazione, preferendo il ruolo di battitore libero. Ruolo per cui, tra l’altro, chiede 75 mila dollari a consulenza.
In molti vedono in lui l’uomo che ha minato il funzionamento della democrazia negli Stati Uniti, accelerandone la polarizzazione. Secondo alcuni studiosi di Harvard, il suo uso dell’hate speech ha avuto un impatto profondo sulla salute della politica statunitense. Su di lui sono stati scritti libri, uno su tutti The Polarizers di Sam Rosenfeld, per analizzare i tratti della rivoluzione repubblicana degli anni Novanta. Si può dire che l’attuale situazione della politica americana sia la conseguenza di quanto seminato da Gingrich: in Trump, c’è l’incarnazione del darwinismo applicato alla politica. C’è il repubblicano cattivo, arrogante e indifferente, senza nessuno degli odiosi tratti da boy scout di cui già Gingrich parlava nel 1978. La mia sopravvivenza contro la tua morte: la mia vittoria contro la tua sconfitta.
“L’America di Trump e la società postamericana che la coalizione anti-Trump rappresenta non sono in grado di coesistere (…). Uno semplicemente sconfiggerà l’altro. Non c’è spazio per il compromesso. Trump lo ha capito perfettamente fin dal primo giorno”
Da “Understanding Trump”, il libro scritto da Newt Gingrich nel 2017
Elisa Ghidini