Le Big Tech stanno crescendo – complice anche il coronavirus – e cambiando forma.
Netflix e tasse Ue: cosa succederà in Francia e in Spagna
Poche tasse, scappatoie legali e sedi all’estero. Questo è – grosso modo – il percorso scelto da molti colossi dell’e-commerce e dello streaming. Aziende come Amazon e Apple, ma anche Google, Facebook, Microsoft e Netflix si configurano sempre più come i leader mondiali del settore digitale. Un settore che vede una crescita esponenziale – seppur con battute d’arresto momentanee – anche grazie alla capacità di operare a distanza. Un fattore che – in tempo di pandemia – costituisce un punto di forza. La loro ascesa, tuttavia, non avviene senza interrogativi: sempre più insistentemente, infatti, i governi chiedono a queste aziende trasparenza e garanzie. E non soltanto in materia di dati sensibili: l’altra grande questione è infatti quella che ruota attorno alla tassazione. In Europa le cose stanno cambiando, e Francia e Spagna stanno rivedendo i loro rapporti con l’azienda statunitense.
Netflix e tasse Ue: i precedenti
L’UE, al tempo della pandemia, è un insieme di istituzioni sempre più fragili. Fiaccata dalla crisi e dalle divisioni interne, questa ha recentemente rivisto la propria politica nei confronti di alcuni leader del digitale. Il commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, ha infatti annunciato che la Commissione europea, il 9 dicembre, annuncerà un pacchetto di norme elaborate appositamente. Queste andranno a limitare lo strapotere dei colossi digitali, potenzialmente monopolistico, che minaccia i competitor più piccoli e meno potenti. A tal proposito, l’Antitrust Ue ha recentemente applicato misure simili contro Amazon e Google. Quanto a Netflix: secondo il rapporto di TaxWatch, quest’ultima avrebbe spostato quasi 430 milioni di dollari in paradisi fiscali solo nel 2018. L’Unione europea ora dovrebbe essere in grado sia di multare, sia di “scorporare” quei gruppi che violeranno le nuove regole, ma è quasi impossibile stabilire a priori chi verrebbe colpito.
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I casi di Francia e Spagna
La crisi innescata dal coronavirus ha messo in ginocchio numerosi settori delle economie europee. Recentemente aveva fatto notizia la grave difficoltà economica attraversata dai bouquinistes parigini: ed è proprio dalla Francia che arriva un messaggio di trasparenza proprio da parte di Netflix. La svolta annunciata dall’azienda statunitense prevede che – a partire da gennaio 2021 – i cittadini francesi pagheranno i loro abbonamenti alle sedi registrate in Francia. Una decisione che prevede la stessa situazione anche in Spagna: quindi l’indotto non finirà più in OIanda, sede della Netflix International Bv. Bensì resterà nei rispettivi confini nazionali: lì le società appositamente registrate verseranno, quindi, le tasse previste. Precedentemente aveva fatto scalpore la notizia secondo cui, sempre secondo il report di TaxWatch, nel 2018 Netflix non avesse pagato nessuna imposta nel Regno Unito. Un Paese nel quale le entrate di Netflix ammontavano a circa 860 milioni di sterline per quasi 10 milioni di utenti.
“Sarò chiaro: i grandi lavoratori americani non dovrebbero pagare più tasse federali rispetto ad Amazon o Netflix. È ora che queste grandi corporazioni paghino finalmente la loro giusta quota” (Joe Biden)
E l’Italia?
A questo punto ci si chiede: e l’Italia? Dopo le aperture nei confronti di Spagna e Francia, potrebbe toccare proprio al nostro Paese. Secondo il Fatto Quotidiano, tra il 2015 e il 2019 i colossi del digitale hanno sottratto una somma pari a 46 miliardi di euro al fisco italiano. Tra questi troviamo anche Netflix, che lo scorso anno ha versato un importo pari a seimila euro: “meno di un operaio”. Allora forse occorre ripensare al ruolo delle istituzioni nazionali ed europee: in particolare, per quale motivo non è possibile frenare le speculazioni? Come può essere che Paesi come l’Olanda riescano a comportarsi come degli autentici paradisi fiscali, a svantaggio degli stessi partner Ue? Più virtuosi e stabili i Paesi del nord, più poveri e fragili quelli mediterranei: non sarebbe forse il caso di procedere verso l’uniformità e la trasparenza fiscale, in Europa? Un’Europa unita, non sarebbe forse più forte?
Francesco Nicolini