La rivoluzione dello streaming ha imposto una nuova grammatica dell’intrattenimento, modificando la relazione tra spettatore e contenuto audiovisivo. Se un tempo la fruizione cinematografica e televisiva si inscriveva entro rituali collettivi, oggi l’accesso immediato e illimitato a una miriade di titoli ha svuotato di significato il gesto stesso della visione. Netflix, capofila di questa mutazione, ha reso l’intrattenimento onnipresente, fluido, ma anche paradossalmente evanescente. L’illusione della libertà di scelta si è trasformata in un consumo bulimico, caratterizzato da un’attenzione labile e da una crescente indifferenza nei confronti della narrazione. Ciò che si perde, in questo processo, non è soltanto il valore dell’attesa e della selezione consapevole, ma anche la capacità di vivere il racconto in modo profondo e immersivo. Il pubblico è ancora spettatore o è diventato un mero consumatore passivo?
La dissoluzione della ritualità: dall’evento cinematografico alla fruizione frammentaria
Un tempo, la visione di un film o di una serie era un atto intenzionale, scandito da precise coordinate temporali e sociali. Il cinema esigeva una partecipazione attiva: l’uscita dalla propria quotidianità, il biglietto d’ingresso, la sala buia e il silenzio imposto dal contesto. La televisione, con la sua programmazione lineare, stabiliva un tempo della visione che induceva lo spettatore a organizzarsi, a concedersi una pausa dedicata esclusivamente al racconto.
L’avvento di Netflix ha smantellato questi paradigmi, introducendo un modello di consumo basato sulla fruizione immediata e senza limiti. Lo spettatore può accedere a un’intera stagione in poche ore, interrompere la visione e riprenderla senza soluzione di continuità, frammentando il legame con la narrazione stessa. Il tempo della visione non è più un tempo sacralizzato, ma un’attività interstiziale, relegata spesso al ruolo di sottofondo di altre occupazioni. In questa mutazione, si assiste alla dissoluzione dell’esperienza audiovisiva come evento significativo, sostituita da una forma di intrattenimento passivo e dispersivo.
Scrivere per l’algoritmo: il declino della narrazione complessa
L’alterazione delle modalità di fruizione ha avuto conseguenze profonde anche sul processo creativo. In passato, il formato seriale era strutturato su un ritmo episodico che richiedeva una costruzione meticolosa della tensione narrativa, della caratterizzazione dei personaggi e della progressione drammatica. La televisione tradizionale si basava sulla necessità di conquistare lo spettatore a ogni episodio, dosando le rivelazioni e costruendo un percorso narrativo coerente e avvincente.
Con Netflix, questo equilibrio è stato sovvertito. L’abolizione dell’episodio pilota e il rilascio simultaneo delle stagioni hanno imposto agli sceneggiatori un nuovo modello produttivo: le serie devono essere concepite per il consumo compulsivo, eliminando i tempi morti e privilegiando una narrazione frammentaria, scandita da cliffhanger incessanti. L’attenzione dello spettatore, ormai abituato a distrarsi, deve essere costantemente catturata, pena l’abbandono della visione.
Ma vi è un aspetto ancora più problematico: la piattaforma stessa detta le regole della scrittura. Molti autori hanno rivelato di ricevere indicazioni precise affinché i dialoghi siano esplicativi, ripetitivi, costruiti per consentire la comprensione anche a chi guarda distrattamente. L’immagine cede così il passo alla didascalia, la narrazione diventa un accessorio e il racconto perde profondità. Si produce non più per un pubblico attento, ma per un algoritmo che analizza dati e preferenze. Il risultato è una produzione standardizzata, priva di audacia e di sperimentazione, in cui il valore artistico è subordinato alle logiche dell’intrattenimento mordi e fuggi.
La scomparsa dell’attesa, l’illusione della libertà e la perdita del coinvolgimento
Uno degli aspetti più significativi di questa metamorfosi è la scomparsa del valore dell’attesa. Il rilascio settimanale di episodi, un tempo prassi consolidata, generava un senso di suspence, di desiderio, di partecipazione collettiva. L’attesa era parte integrante dell’esperienza, alimentava il dibattito, rendeva la narrazione un fenomeno culturale condiviso.
Oggi, la pubblicazione immediata delle stagioni ha spezzato questo meccanismo, convertendo la fruizione in un atto solitario e fugace. Si divora una serie in poche ore, senza il tempo di assimilarla, senza che possa sedimentare nella memoria. Il giorno dopo, si passa a un altro contenuto, senza nostalgia, senza approfondimento. Il binge-watching, pur offrendo l’illusione di un coinvolgimento totale, si traduce in realtà in una forma di consumo accelerato, che priva la storia del suo respiro e del suo impatto emotivo.
Non è un caso che alcune piattaforme abbiano iniziato a reintrodurre il rilascio settimanale, nel tentativo di recuperare un’esperienza più diluita e partecipata. Tuttavia, il pubblico, ormai abituato alla gratificazione immediata, fatica ad accettare questa inversione di tendenza. Il danno è già stato fatto: l’industria ha formato una generazione di spettatori impazienti, incapaci di attendere, sempre alla ricerca del prossimo contenuto da consumare.
La spettacolarizzazione dell’oblio
Netflix ha reso il cinema e la serialità più flessibili, più comodi, più accessibili. Ma a quale prezzo? Il modello dello streaming ha alterato profondamente il nostro modo di relazionarci alla narrazione, svuotandola di valore e riducendola a un semplice passatempo. L’abbondanza di contenuti ha paradossalmente generato un’apatia diffusa: vediamo di più, ricordiamo meno.
Forse, il vero problema non è la tecnologia in sé, ma l’abitudine che essa ha instillato. Abbiamo disimparato a dare importanza alla scelta, all’attesa, alla qualità dell’esperienza.
In un’epoca in cui tutto è a portata di mano, la sfida più grande potrebbe essere riscoprire il piacere della lentezza, della selezione ponderata, del coinvolgimento autentico, per consentire al cinema e alla serialità di riacquistare il loro ruolo di strumenti culturali e non di meri prodotti di consumo.