Netanyahu perde le elezioni: da “Re di Israele” a sopravvissuto politico

Netanyahu

Il lungo “regno” di ‘Bibi’ Netanyahu sembra ormai arrivato alla fine della sua parabola.

Le elezioni che si sono tenute a Israele il 17 settembre hanno inferto un duro colpo al partito dell’ex primo ministro, il Likud, e hanno stravolto l’equilibrio politico dello stato sionista. Sebbene a più di ventiquattro ore dalla chiusura dei seggi manchino ancora i risultati ufficiali, i parziali diffusi dalla televisione israeliana mostrano chiaramente come Benjamin Netanyahu esca abbastanza malmesso dalla sfida elettorale, tanto da cancellare il suo viaggio a New York della prossima settimana, dove avrebbe dovuto partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite.

La sconfitta del Likud

Secondo i dati più aggiornati, il Likud ha ottenuto il 25,14% dei voti, conquistando solo 31 seggi nel Knesset, il parlamento israeliano. L’intera coalizione di destra guidata da Netanyahu, che oltre al Likud include Shas, UTJ e Yamina, non raggiunge che 55 seggi, un risultato ben lontano dalla soglia di 61 seggi necessaria ad ottenere la maggioranza in parlamento. Già alle elezioni dell’aprile 2019, l’ex-premier fallì nel tentativo di formare un governo, a causa del rifiuto di Avigdor Lieberman, il leader del partito nazionalista liberale Yisraeli Beitenu, di governare con la destra ultra-ortodossa dello Shas. Ma per Netanyahu il mantenimento del potere politico è adesso qualcosa di simile a una lotta per la vita e la morte.

Netanyahu il corrotto




Netanyahu è indagato per reati di frode e corruzione, accuse che egli ha ricusato e additato come una manovra politica della “sinistra” per allontanarlo dal governo. Nondimeno, grazie all’immunità istituzionale di cui gode è riuscito finora a scampare il processo. Se dovesse reinsediarsi al governo, avrebbe gioco facile a far passare dei decreti ad personam per tutelarsi dalle condanne. Forse in tal senso bisogna intendere la dichiarazione rilasciata in una conferenza dopo le elezioni :“Meglio perdere la propria voce che perdere lo Stato”. Tuttavia, l’inchiesta che ha investito Netanyahu ha giocato un ruolo importante nella sua sconfitta, e ha di molto aiutato il successo del Kahol Lavan, il partito che, secondo i dati parziali, ha scavalcato il Likud.

Il Blu e il Bianco

Il Kahol Lavan ha raccolto il 25,92%, che gli varranno 33 seggi, presentandosi alle elezioni come il “nuovo” politico, come l’alternativa moderata e responsabile al governo corrotto e aggressivo di Netanyahu, un partito che offra “speranza e cambiamento, senza corruzione, senza estremismo”. Fondato dall’ex capo delle forze armate israeliane, Benny Gantz, con l’apporto di altre formazioni di centro-destra, il Kahol Lavan (blu e bianco, i colori della bandiera israeliana) ha monopolizzato il voto contro Netanyahu, ed è riuscito a distanziarsi dalla retorica rabbiosamente razzista del leader del Likud. Non perché Benny Gantz sia più tenero nei confronti degli arabi palestinesi (è pur sempre un ex-generale israeliano), ma piuttosto per una questione di carattere e di stile. Gantz ha infatti risposto in maniera molto aperta all’appello di Yisraeli Beitenu a formare un “ampio governo nazionale liberale composto da Yisraeli Beitenu, Likud e Kahol Lavan”.

Da ‘Re di Israele’ a sopravvissuto politico

In vista delle elezioni Netanyahu ha dato vita a una campagna velenosa e razzista contro gli arabi, contraddistinta da mosse spettacolari come il passaggio a colonia ufficiale di Mevoot Yericho, un territorio già sotto illegittima occupazione militare nella valle del Giordano. Questa campagna aveva come principale obiettivo quello di presentarsi come paladino di Israele agli occhi del settore più conservatore e anti-arabo dell’elettorato e riuscire a formare un governo con la propria coalizione di destra. Sfumata tale possibilità, ‘Bibi’ sembra voler adottare un approccio più pragmatico e voler andare incontro alla proposta di coalizione di Avigdor Lieberman.

Il governo impossibile e il rimpasto più probabile

Netanyahu ha pubblicamente messo da parte l’ipotesi di un governo di destra con gli ultra-ortodossi (tra l’altro impossibile, matematicamente parlando), e ha aperto al dialogo con Benny Gantz. Quest’ultimo però ha fatto della lotta contro Netanyahu una bandiera nella campagna elettorale, e l’ex primo ministro Ehud Olmert, che fa parte della stessa coalizione di Gantz, ha dichiarato dopo le elezioni “il popolo di Israele gli [a Netanyahu] ha detto ‘basta’”. In risposta ai tentativi di Netanyahu di avvicinarsi al Kahol Lavan e mettere in piedi una presidenza alternata con Benny Gantz, fonti di questo partito hanno negato di avere intenzione di sedere in un governo con il corrotto ex-primo ministro.

La fine di una fase… l’inizio di un’altra?

Dati gli esiti elettorali, il presidente Reuven Rivlin darà l’incarico di formare un governo per primo a Benny Gantz, il cui partito è stato il più votato. Tuttavia, anche per l’ex-generale è improbabile riuscire creare un governo con una maggioranza stabile senza il Likud. Il veto posto dal Kahol Lavan sulla presenza di Netanyahu nel governo, così come quello posto da Yisraeli Beitenu sulla destra fondamentalista ortodossa e sulla formazione degli arabi israeliani Lista Unita, pone le basi per un aspro scontro nel Likud. Non è da escludere che il Likud decida di liberarsi di Netanyahu e sopravvivere aggregandosi al Kahol Lavan. L’altra alternativa più probabile sarebbe direttamente quella di andare a nuove elezione.

E quindi?

La “caduta” di Netanyahu segna un passaggio importante nella politica israeliana. L’instabilità politica economica globale si è riverberata anche a Israele, erodendo le basi della politica liberista di Netanyahu. A ben poco è servita la propaganda da stato d’assedio che il Likud ha utilizzato per legittimarsi. Lo stesso Benny Gantz non sembra poter garantire una direzione differente. Difficilmente, potrà conquistarsi l’appoggio dei lavoratori israeliani, in assenza di una qualsiasi politica sociale, né tantomeno degli arabi israeliani, dal momento che condivide la stessa visione di Netanyahu sulla questione palestinese. L’unica cosa che si può dire è che anche a Israele, come sta avvenendo ovunque nel mondo, l’equilibrio politico sta andando in frantumi e le prospettive appaiono aperte e imprevedibili.

Francesco Salmeri

 

 

 

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