Ad ammetterlo è lo stesso Gian Marco Centinaio, ministro leghista del mega-ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo che afferma: “E’ vero, potevamo fare di più.”
A sottolineare questo mancato “passo avanti nel turismo” è la Cgil che, a un anno dall’insediamento del governo Conte, tira le somme riunendo l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) e i rappresentanti delle regioni. Il segretario Cgil Marco Broccati riporta che, nell’ultimo anno, niente è stato fatto per tutelare o migliorare le condizioni di questo settore così strategico. Le cause principali risiedono nel passaggio, immotivato, delle competenze relative alla gestione del turismo dal Ministero dei Beni Culturali e quello delle Politiche Agricole.
Il piano strategico del turismo varato nel 2017 e che, in teoria, dovrebbe continuare fino al 2022, si è completamente arenato. Un blocco delle attività che, se perdurante, potrebbe causare grosse perdite all’economia italiana. Il settore turistico, infatti, conta circa 3,4 milioni di occupati e contribuisce ad un buon 13% del Pil. Un settore che necessita urgentemente di interventi poiché infestato, endemicamente, dalla pratica del lavoro in nero, dell’evasione fiscale e dei subappalti. Il turismo, in poche parole, avrebbe moltissimo da offrire all’economia italiana, ma ogni possibile beneficio deve prima fare i conti con l’assenza di tutele per i lavoratori e con un grave immobilismo governativo.
Il passaggio di competenze
A non convincere è sicuramente il passaggio delle competenze dal Ministero dei Beni Culturali e quello delle Politiche Agricole. Il passaggio, afferma la Cgil, ha drasticamente allentato il rapporto tra turismo e beni culturali che, nel nostro paese, è assolutamente necessario. Inoltre ha in breve tempo disperso un nucleo di know-how e risorse che il Mibac aveva duramente costruito negli ultimi anni. Lapidarie, a riguardo, le parole di Marco Broccati: “Non bastano sole, mare e Colosseo. Occorrono politiche consapevoli e mirate.”
Negli ultimi anni l’Italia ha beneficiato di un certo aumento dei flussi turistici, prevalentemente grazie al crollo di Turchia ed Egitto, a causa dell’emergenza terrorismo. Con l’assottigliarsi dell’emergenza, però, i due paesi stanno recuperando le posizioni perdute e l’Italia rischia di vedersi sottrarre una buona fetta di “clienti appena acquisiti.”
Il fatto che non sia stato compiuto nessun passo avanti nel turismo, inoltre, rischia di causare la dispersione improduttiva delle risorse già destinate, come i 40 milioni di euro per la programmazione economica dei Cammini d’Italia. Milioni che, da un anno a questa parte, giacciono dimenticati. Le poche mosse effettuate, inoltre, hanno causato più danni che altro. Come la decisione dell’Inps di non siglare i protocolli per la ripartizione degli oneri tra servizio sanitario nazionale ed enti previdenziali e assicurativi per i garantire il diritto alle alle cure termali. Scelta che ha messo in ginocchio un settore, quello termale, che conta ben 7mila addetti e che già da tempo soffre la concorrenza straniera.
L’assenza dello stato
In mancanza di una politica nazionale decisa e mirata, le regioni, ben consapevoli della necessità di interventi, hanno cominciato ad agire da sole, in piena autonomia. Sono stati, ad esempio, approvati i Cir; codici identificativi per le strutture turistiche al fine di combattere il nero e l’abusivismo. “In assenza di politiche nazionali” Afferma Federico Caner, assessore al Turismo del Veneto. “le regioni si fanno promozione da sole in giro per il mondo. E dobbiamo ringraziare i fondi europei se si possono mettere in atto alcuni interventi“.
Il ministro Centinaio aveva definito l’Italia come una superpotenza del turismo e, va detto, osservando i numeri con freddezza, sarebbe quasi semplice dargli ragione. In realtà non dobbiamo dimenticare che a determinare la qualità di un settore non son i numeri (vi sono, ad esempio, settori di nicchia ad elevatissima qualità). La qualità di un settore è, infatti, prevalentemente determinata dalla qualità del lavoro che vi si svolge all’interno e, sotto questo aspetto, l’Italia si scopre decisamente carente.
L’asse Venezia-Milano-Firenze-Roma assorbe due terzi dei flussi turistici. Il tempo di permanenza medio nella capitale è di soli due giorni, contro una media di quattro delle altre capitali europee. Le presenze, inoltre, si concentrano quasi tutte tra giugno e ottobre, per poi spegnersi, quasi completamente, durante il resto dell’anno. Le strade piene di storia delle nostre città, infatti, non bastano a garantire un afflusso costante di turisti, e non perché siano loro a non comprendere la storia. Tutt’altro. Siamo noi, infatti, a dimostrare quanto poco c’interessi, scegliendo di non valorizzarla nel modo adeguato.
Personale sfruttato e non qualificato
Pochissimi gli occupati che parlano fluentemente almeno l’inglese. Ancora meno quelli che uniscono a tale lingua almeno una delle altre lingue comunitarie. Il 30% degli occupati arriva al massimo alla terza media. Solo il 15% ha una laurea. Molti di loro, inoltre, lavorano nel settore turistico semplicemente in attesa di “trovar qualcosa di meglio“. Ancora peggio se prendiamo in esame la categoria dei manager che, tristemente, conta solo un 5% di laureati.
Chiunque abiti in territori che vivono di turismo sa bene che tale settore, offre, da un lato, un sicuro e periodico impiego ai giovani disoccupati. Dall’altro lato, però, offre anche un enorme varietà di contratti pirata, forme di micro-sfruttamento e stipendi ai limiti della legalità. Si tratta quindi di un settore che, spesso, viene scelto per necessità ma, evidentemente, non dispone delle qualità e dei mezzi per attrarre forza lavoro qualificata. La competizione, tra imprese turistiche, infatti, si muove ancora seguendo l’antica direttiva della “svalutazione del lavoro“. Per ottenere prezzi più competitivi, la prima scelta resta, sempre e comunque, quella di pagar meno i dipendenti.
Nessun passo avanti nel turismo
L’ultimo intervento rilevante nel settore risale, addirittura, al governo Renzi, ma non si tratta di un intervento positivo. L’intervento ha infatti causato il taglio della Naspi (indennità mensile di disoccupazione), negando ai lavoratori stagionali la possibilità di ricevere, per sei mesi di lavoro, altri sei mesi di sostegno al reddito. Investire nuovamente sulla Naspi sarebbe un’ottima scelta per permettere ai lavoratori stagionali di continuare a specializzarsi, al fine di migliorare la qualità del lavoro, tra una pausa invernale e l’altra. Il governo, tuttavia, non ha alcuna intenzione di muoversi in questa direzione.
Concludo l’articolo con una piccola informazione ulteriore. Non si tratta, però, della tipica buona notizia che fa “sperar bene” per il futuro, tutt’altro. Non solo non è stato compiuto nessun passo avanti nel turismo, ma, a peggiorar la situazione, si registra un costante incremento degli investimenti, da parte della criminalità organizzata, mirati all’acquisto di strutture turistiche, come macchine di riciclo per il denaro sporco. E’ proprio vero ciò che si dice: dove non arriva lo stato, ci pensa la mafia.
Andrea Pezzotta