Da nove mesi non c’è nessun educatore effettivo al carcere Brissogne in Val d’Aosta, l’unico in carico, su tre di organico, è infatti in aspettativa. La situazione è emersa in seguito alla ricognizione nazionale degli istituti penitenziari da parte dei Radicali italiani.
Carcere di Brissogne, nessun educatore nell’istituto
Dopo essersi recati il mattino a Ivrea, carcere sovraffollato al 143%, il pomeriggio la delegazione dei Radicali italiani ha visitato carcere di Brissogne, istituto ad Aosta dove da nove mesi non vi è alcun educatore. Questa enorme mancanza è valsa la sesta denuncia per tortura presentata al ministro della giustizia Carlo Nordio da parte dei Radicali, in seguito a quelle presentate alle Procure di Roma, Torino, Napoli, Firenze e Ivrea.
«Vedere detenuti con le braccia piene di tagli è sempre qualcosa di assolutamente drammatico che connota una situazione che è totalmente allarmante e ignorata. Aggiungo, il carcere deve essere rieducativo, come fa ad essere rieducativo un carcere dove non c’è nessun educatore?»
ha dichiarato Filippo Blengino, tesoriere del partito.
Non mancano solo gli educatori al carcere di Brissogne dove si rileva una generale carenza di organico, anche tra gli agenti della Polizia penitenziaria.
Educatori nelle carceri italiane: una figura presente dal ‘75
La figura dell’educatore per adulti nelle carceri italiane è stata introdotta dalla legge n. 354 il 26 luglio 1975. Questa figura è stata inserita per rispettare ciò che è sancito nell’articolo 27 della Costituzione italiana: «La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte». A questo articolo si aggiunge il primo dell’Ordinamento Penitenziario che dichiara «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare la dignità della persona [… ed] è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche ed a credenze religiose».
Il carcere deve quindi sempre puntare alla rieducazione dei detenuti, senza alcuna discriminazione. Questo deve essere l’obiettivo della detenzione e nel momento in cui i percorsi rieducativi non sono garantiti, viene meno uno dei fini della pena carceraria. L’assenza per un periodo di tempo così prolungato all’interno di un istituto di detenzione viola quindi i diritti carcerari e priva del fondamentale percorso rieducativo i 114 detenuti all’interno del carcere di Brissogne.
L’educatore penitenziario, ad oggi definito funzionario giuridico-pedagogico, svolge un ruolo cruciale nelle carceri, con la responsabilità di progettare e monitorare percorsi educativi personalizzati per i detenuti. Tra i suoi compiti principali vi è l’osservazione scientifica della personalità dei detenuti, fondamentale per identificare bisogni educativi e pianificare interventi che promuovano il reinserimento sociale. L’educatore progetta e coordina inoltre carie attività all’interno dell’istituto, attività scolastiche, sportive, ricreative, di assistenza, istruzione e promozione culturale, collaborando con altre figure professionali per assicurare un trattamento rieducativo efficace e mirato.
Questo è fondamentale anche perché si è rilevato che nelle carceri dove sono presenti numerose attività rieducative la recidiva è nettamente inferiore rispetto alle carceri dove scarseggiano questo di tipo di attività e di attenzione al percorso del singolo detenuto.
Educatori nelle carceri: i numeri di Antigone nelle carceri italiane
Nel report annuale pubblicato da Antigone vi è un capitolo dedicato allo staff e agli operatori penitenziari. L’ultimo report pubblicato, “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione”, riporta i numeri degli educatori impiegati nelle carceri italiane e sottolinea la drammatica carenza di personale negli istituti penitenziari, di cui il caso del carcere di Brissogne ne è esempio. «La carenza di personale è una delle criticità sistemiche che attanagliano gli istituti penitenziari, una carenza trasversale che riguarda tutti gli operatori penitenziari, dal personale amministrativo ai funzionari giuridico pedagogici, sino ad arrivare ai direttori».
Come si evince sempre dal Ventesimo rapporto di Antigone, i dati aggiornati a febbraio 2024 mostrano un numero totale di educatori impiegati nelle carceri pari a 1021 a fronte dei 1040 che sarebbero previsti dalla pianta organica. Questo significa che in Italia in media ogni educatore ha in carico 65 detenuti, un numero che appare già di per sé esorbitante. Prima dell’incremento di ingressi di educatori nelle carceri che si è fortunatamente registrato lo scorso anno, il rapporto saliva addirittura a uno per 80.
Grazie alle 100 visite condotte lungo tutto lo scorso anno all’interno delle carceri italiane da parte di Antigone si è rilevato che la carenza di educatori più grave la si registra nella Casa circondariale di Caltagirone dove vi sono 193 detenuti in carico a un singolo educatore. Dopo la visita del gruppo dei Radicali si è però scoperto il nuovo primato in negativo, con un carcere che addirittura non presenta educatori.
Educatori e carceri: una realtà drammaticamente lontana da quella di “Mare fuori”
In molti si sono appassionati alla nota serie tv italiana “Mare fuori”, sitcom che racconta le storie di vita e le vicissitudini che hanno luogo all’interno dell’IPM di Nisida a Napoli. Le figure come Beppe, educatore completamente coinvolto nella vita dei ragazzi che ha fatto dei progetti rieducativi all’interno del carcere la sua intera esistenza, sono entrati nel cuore di molti spettatori. La realtà dei fatti però non è quella mostrata nella serie tv. Era infatti diventata famosa il racconto di un ex detenuta dell’Ipm che così aveva dichiarato ai microfoni di FanPage:
«Non è stato semplice, lo Stato ti abbandona, sia dentro che fuori il carcere. La verità è che bisogna imparare a salvarsi un po’ da soli e bisogna imparare ad accogliere il sostegno di quelle poche brave persone che ci tendono la mano. Perché ci sono».
Parole dure nei confronti di uno Stato che abbandona e di cui è prova la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane ad oggi. Sono 63 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane da inizio 2024, tragica conseguenza di un sistema che fa acqua da tutte le parti, con un sovraffollamento al 130% che impedisce in parte anche di svolgere tutte quelle attività che da un lato renderebbero la pena da scontare umana e che dall’altro sono l’unico vero strumento per sperare nella buona riuscita della detenzione e portare un domani a un reinserimento nella società dei detenuti.
Come emerge sempre dall’intervista le persone che possono cambiare in parte il destino dei detenuti ci sono e tra queste rientrano di sicuro tutti coloro che cercano di portare avanti nelle carceri italiani progetti rieducativi mirati e costruiti ad hoc su tutti coloro che si trovano a dover scontare una pena detentiva. Per far sì che questi progetti abbiano continuità e siano svolti in maniera costruttiva serve che siano tutelati tutti gli educatori che si impegnano sul campo quotidianamente, partendo da un aumento dell’organico per permettere un’implementazione dei progetti, una maggiore attenzione al singolo ma anche un maggiore protezione dell’educatore stesso. Tutto questo è essenziale per evitare che si ripeta un episodio come quello del carcere di Brissogne e per smettere di trascurare una parte di umanità di cui troppo spesso ci si dimentica, con conseguenze che non giovano in alcun modo all’intera società.