Le autorità nepalesi hanno promesso una stretta al turismo di lusso sull’Everest e, inoltre, saranno applicate misure più severe anche sulla gestione dei rifiuti. Sì, anche quelli organici.
Turismo di lusso sull’Everest
Ebbene sì, ormai fare la settimana bianca sulle Dolomiti è passato di moda. Meglio farla a 5.364 metri di quota ai piedi della montagna più famosa del mondo. Il turismo sull’Everest, è ormai normale: basta pagare fior fiore di quattrini e anche la persona meno atletica e più difficilmente adattabile riesce ad arrivare, come minimo, al campo base.
Qui è dove soggiornano gli scalatori e i turisti prima di intraprendere l’ascesa finale che dopo altre 4 tappe porta in vetta. La situazione al campo base, tuttavia, è tutt’altro che una fresca scampagnata di montagna dove regna il silenzio, il rispetto per il luogo e l’ammirazione per chi è già riuscito, con fatica e dedizione, ad arrivare in cima. Infatti, il campo base si approssima a una cittadina di periferia: caotica, affollata e sporca.
Ma il turismo di lusso sull’Everest ha i giorni contati. Molti turisti hanno potuto soggiornare in tende-suite con grandi e confortevoli letti e armadi personali, aree dove fare yoga e riposare il corpo con rilassanti massaggi e sedersi su comodi divani con addirittura la possibilità di guardare la televisione a schermo piatto. Come se tutto quello che sta fuori dalla tenda non sia di per sé un degno spettacolo. Sì, il turismo di lusso sull’Everest è una piaga.
Ed è così che, finalmente, le autorità nepalesi hanno detto basta. Il turismo e, soprattutto, il turismo di lusso sull’Everest deve essere tagliato. Ecco come.
I tagli al turismo di lusso sull’Everest
- Limitare le dimensioni delle tende ammesse al campo, con un’attenzione speciale alle gigantesche tende comuni usate come sale da pranzo.
- Ridurre il numero di tende che ogni compagnia di spedizione può piantare. L’obiettivo? Ridurre le dimensioni del campo base.
- Limitare l’uso degli elicotteri che portano rifornimenti e, soprattutto, turisti. E che si spingono, letteralmente, sempre più in alto (campi 2 e 3) in barba ai pericoli di volare a così alta quota e all’inquinamento acustico e ambientale. Gli elicotteri saranno ammessi solo per il recupero di alpinisti dispersi o per quelli che stanno male o si sono infortunati.
La speranza è che così facendo il turismo di lusso sull’Everest scompaia e si torni a scalare la montagna in modo sostenibile.
Il sottile confine tra turismo di lusso e discarica ad alta quota
Il turismo, spesso, è come un parassita: si avvinghia all’organismo che lo “ospita” e ne succhia tutte le energie vitali fino a farlo collassare. Dopodiché passa a un altro organismo, non curante della distruzione che si lascia alle spalle. Ed ecco che anche il turismo di lusso sull’Everest, anziché valorizzare il luogo e portargli il dovuto rispetto, lo invade. Il lato oscuro del lusso, come è facile intuire, è lo scarto. Il rifiuto.
E lo stesso vale ovviamente anche per il turismo di lusso sull’Everest dove, a fronte delle gigantesche tende-resort appollaiate tra rocce e ghiacci, compaiono anche accumuli di rifiuti: materiali tecnici, avanzi di cibo, generatori rotti, televisioni mal funzionanti, plastica di ogni tipo, latte e lattine, bombole di ossigeno e… cacca.
Sì, cacca. Non c’è niente di sconvolgente in questo, è tutta natura. Però quando è troppa è troppa. E chi glielo dice ai turisti che le loro feci non si degradano a 5 mila metri di quota? Fa troppo freddo lassù perché gli scarti organici possano smaltirsi completamente. Restano lì.
Chi scala l’Everest dovrà portare a valle i suoi rifiuti
“Le nostre montagne hanno iniziato a puzzare. Riceviamo lamentele sul fatto che le feci umane sono visibili sulle rocce e alcuni scalatori si ammalano. E questo non è accettabile.”
Si esprime così Mingma Sherpa, rappresentante di Pasang Lhamu, comune che copre buona parte della regione dell’Everest. Questa dichiarazione strappa un sorriso, ma fa riflettere. Inoltre, se al campo base ci sono delle latrine dove gli escrementi vengono raccolti, più si sale più è impossibile nasconderli. Il buon costume suggerirebbe di fare come quando si va a spasso con il proprio cane: portare un sacchetto. Ma sono pochi gli alpinisti che riportano al campo base i propri escrementi perché, giustamente, la scalata può durare settimane. Quindi la spazzatura rimane lì, sotto gli occhi e il naso di tutti i passanti: come un punto nero.
Si stima che ci siano circa 3 tonnellate di escrementi umani tra il campo 1 e il campo 4 (si auspica che nessuno abbia bisogno della toilette in vetta). E corre voce che il Campo 4 sia stato ribattezzato dai passanti “gabinetto a cielo aperto”. Che dire… proprio un paesaggio mozza-fiato.
E più si indaga, più si scoprono fatti sconvolgenti. Lo sapevate che ogni scalatore produce circa 250 grammi di feci al giorno? E si passano mediamente 2 settimane sui campi più alti prima di salire in vetta. A voi il calcolo.
È ovvio che il turismo di massa e la sostenibilità ambientale viaggiano su due binari paralleli, ed è dunque più che comprensibile che si prendano dei provvedimenti. La risposta delle autorità competenti, infatti, è arrivata: 8.000 sacchetti di plastica con reagenti chimici per solidificare le feci e renderle inodori. In questo modo ogni scalatore può mettere nello zaino quanto produce e riportarlo al campo base.
L’applicazione delle regole restrittive per il turismo di lusso sull’Everest
Però, chi controlla che ogni alpinista salito in vetta abbia riportato alla base la sua spazzatura? A pensarci bene, è quasi scontato che lassù le regole non vengano rispettate.
“Lo Stato è sempre stato assente ai campi base, il che ha portato a ogni tipo di irregolarità. Ma ora tutto cambierà, gestiremo un ufficio di contatto e ci assicureremo che le nostre nuove misure, tra cui l’obbligo per gli scalatori di riportare i propri escrementi, vengano attuate.”
Mingma Sherpa
Per gli Sherpa non si fa turismo di lusso sull’Everest. L’Everest è Qomolangma, la dea madre del mondo. È un luogo sacro, da venerare e da rispettare.
“Non dovrebbero sporcare la montagna, è il nostro dio più grande e non si dovrebbero sporcare gli dei. Qomolangma è il dio più grande per gli Sherpa ma la gente fuma e mangia carne e getta via quello che resta.”
Kanchha Sherpa
Ma allora qual è la soluzione per contrastare i problemi portati dal turismo di lusso sull’Everest? La soluzione, quella vera e drastica, ce la offre Kanchha Sherpa, 91 anni, l’ultimo superstite della prima spedizione che ha raggiunto la vetta il 29 maggio 1953:
“Sarebbe meglio per la montagna ridurre il numero di scalatori. Subito. C’è troppa folla lassù.”