Una sentenza della Corte Suprema obbliga il governo del Nepal a regolarizzare e registrare le unioni tra persone dello stesso sesso. Il Nepal diventa quindi il primo Stato dell’Asia meridionale a riconoscere e consentire il matrimonio egualitario. Una decisione storica che rappresenta un passo avanti per la comunità LGBTQ+.
Le origini di una scelta storica
La decisione è scaturita a seguito della presentazione di una petizione da parte degli attivisti LGBTQ+, il gruppo ha chiesto l’applicazione di sentenze già esistenti. Difatti, esistono sentenze risalenti al 2007, che da ormai più di 15 anni, richiedono alle istituzioni nepalesi di riconoscere queste unioni e costituire una comitato apposito. Giudizi, purtroppo, ignorati fino allo scorso maggio. Il primo parlamentare omosessuale nepalese Sunil Pant ha espresso la sua felicità per la vittoria in un’intervista per The Human Rights Watch, organizzazione non governativa internazionale attiva nella difesa dei diritti umani:
“La gente sta già festeggiando, stanno tornando di corsa ai loro villaggi per raccogliere i documenti per i loro matrimoni”.
L’ex parlamentare è uno dei principali e più importanti attivisti della comunità LGBTQ+, una figura fondamentale all’interno della lotta per i diritti civili nel Paese. La sentenza trasforma il Nepal nel primo Stato dell’Asia meridionale a riconoscere il matrimonio egualitario e a battersi per l’uguaglianza nei diritti civili. Nelle altre Nazioni che compongono l’Asia meridionale la realtà è ben diversa Bangladesh, Bhutan, India, Pakistan, Sri Lanka e Maldive non permettono ancora alle coppie dello stesso sesso di sposarsi. Mentre all’interno di tutto il continente asiatico, solamente Taiwan ha ufficialmente legalizzato le unioni tra individui dello stesso sesso.
Tuttavia, esistono anche altre nazioni asiatiche pronte ad avviarsi verso una legislazione in merito. Lo scorso aprile in India, una giuria composta da cinque giudici membri della corte suprema ha promosso il dibattito sulla possibilità che i cittadini dello Stato più popoloso al mondo possano acquisire l’uguaglianza matrimoniale.
Il caso che ha spinto la Corte suprema a trasformare il Nepal nel primo Paese dell’Asia meridionale a riconoscere il matrimonio egualitario
Nel 2018, un cittadino nepalese Adheeo Pokhrel e uno tedesco Tobias Volz si sono uniti in matrimonio legalmente in Germania con l’intenzione di trasferirsi in Nepal, dove avevano fatto domanda per un visto non turistico nel luglio 2022. Documento necessario per Volz per entrare nella terra d’origine del marito.
Di fronte a questa richiesta “inusuale” le autorità nepalesi respinsero la richiesta dei due, poiché la dicitura riportata sul modulo specificava “marito” e “moglie”. Gli sposi hanno sottoposto il quesito proprio alla Corte Suprema, che si è così espressa:
“Se un cittadino straniero che afferma di essere sposato con un cittadino nepalese presenta un certificato di registrazione del matrimonio e il cittadino nepalese conferma il matrimonio, il governo deve esaminare le leggi sul riconoscimento delle relazioni tra persone dello stesso sesso. Sosteniamo che sia un diritto intrinseco di un adulto avere rapporti con un altro adulto con il suo libero consenso e secondo la sua volontà“.
È stata quindi presentata la raccomandazione tramite un rapporto del tribunale di eliminare la disposizione legale che il matrimonio possa essere celebrato unicamente tra un uomo e una donna. Non è un caso che si sia giunti a questo giudizio. La Corte Suprema all’epoca stava già esaminando diversi casi inerenti ai diritti della comunità LGBTQIA+.
Il Nepal è il primo Paese dell’Asia meridionale a riconoscere il matrimonio egualitario, eppure la lotta continua
Sebbene The Human Rights Watch abbia lodato il Nepal attribuendogli lo status di Paese leader nell’ambito dei diritti LGBTQIA+ in Asia Centrale, la realtà non è così rosea come sembra. Certamente, si tratta di uno dei primi territori in Asia dov’è stata considerata l’ipotesi di legalizzare le unioni tra coppie omosessuali e il riconoscimento delle persone transgender, tuttavia le discriminazioni verso la comunità sono ancora molto forti. Le istituzioni si dimostrano avanti su queste tematiche, ma allo stesso tempo la violenza omofobica, transfobica e la discriminazione continuano ad essere altamente diffuse e causa di disagi per molti cittadini nepalesi.
I progressi legislativi sono fondamentali nel percorso verso l’uguaglianza, ma spesso necessitano di un periodo di assimilazione nella società. La comunità è ancora oggetto di gravi discriminazioni in tutti gli ambiti della vita sociale: dall’istruzione, all’accesso ai servizi sanitari fino all’occupazione. Attivisti e individui transgender sono costantemente bersaglio di violenze ed intimidazioni. Dinamiche che partono spesso dalle stesse case, per via della presenza ancora maggioritaria di un’educazione ai ruoli di stampo tradizionale.
Questo passo in avanti è motore di svariate iniziative. In primis rafforza la comunità LGBTQIA+ in Nepal, incoraggiandola ad essere sempre più attiva e organizzata e in secondo piano incrementa la nascita di nuove organizzazione non governative nazionali e associazioni di supporto. La visibilità della comunità non potrà che aumentare come risultato della sentenza e di conseguenza la sua partecipazione ad eventi pubblici, alle attività mediatiche e politiche. Dinamiche che sicuramente saranno centrali per la protesta delle nuove generazioni decisamente più tolleranti e moderne, in particolare nelle grandi città.
Francesca Calzà