“Report” di Sigfrido Ranucci, programma d’inchiesta celebre per le sue indagini incisive e lo sguardo critico sulla società, è al centro di polemiche e cambiamenti nell’ambito della programmazione televisiva. Una recente decisione di spostare la trasmissione dalla sua collocazione tradizionale al lunedì sera alla domenica sera ha sollevato interrogativi sulla trasparenza delle scelte e sull’indipendenza della Rai.
Oramai non c’è più bisogno di ufficialità per confermare ciò che tutti sanno già. La Rai, da tempo al centro delle discussioni politiche e delle critiche, sembra essersi spinta oltre i limiti della razionalità con la sua decisione di spostare il programma d’inchiesta “Report” dal lunedì sera alla domenica sera, allo scopo di coprire il “buco” lasciato libero da “Che tempo che fa” di Fabio Fazio. In questa intricata danza tra la televisione pubblica e la politica è difficile non vedere un gioco di potere dietro questa mossa.
Il programma “Report” è da anni una pietra miliare del giornalismo d’inchiesta italiano, noto per le sue inchieste scottanti e per la sua capacità di tenere il pubblico incollato allo schermo. Con una media di share tra il 7% e l’8% e punte del 10%, “Report” aveva raggiunto un successo notevole nel suo slot tradizionale del lunedì sera. Ma ora, con lo spostamento alla domenica, questo trend positivo sembra essere messo a rischio.
La scelta di spostare un programma di successo come “Report” da una collocazione storica ad un altro giorno, nel prime time, è alquanto bizzarra. Sembrerebbe una mossa senza senso, soprattutto considerando che il pubblico abituato al lunedì sera è chiaramente orientato verso un tipo di trasmissione completamente diverso.
L’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, aveva dichiarato in audizione in commissione Vigilanza che il cambio di collocazione sarebbe stato discusso con i conduttori coinvolti, tra cui Sigfrido Ranucci. Tuttavia, sembra che questo confronto non sia mai avvenuto, almeno stando a fonti del settimo piano di Viale Mazzini. Una mancanza di dialogo che solleva ulteriori dubbi sulla trasparenza delle decisioni prese all’interno della Rai.
Gli analisti di Omnicom Media Group hanno evidenziato che i pubblici di Fabio Fazio e di Sigfrido Ranucci non sono sovrapponibili. “Che tempo che fa” ha un pubblico decisamente più nordista, mentre “Report” ha una distribuzione più omogenea nel Paese. Inoltre, il profilo di Fazio è tendenzialmente più femminile, mentre Ranucci ha uno share più basso tra le donne. In termini di età, Fazio può contare su un pubblico più anziano, mentre Ranucci attrae una fascia d’età più ampia. Quindi, da un punto di vista demografico, sembrerebbe che le due trasmissioni non abbiano molto in comune.
La decisione di spostare “Report” alla domenica sera sembra quindi essere stata una mossa per minarne gli ascolti. Una scelta che mette a rischio il futuro del programma e che solleva interrogativi sulle motivazioni dietro questa decisione.
Ma c’è di più dietro questa storia. L’ultima trasmissione di “Report” aveva dedicato una poderosa inchiesta sugli affari della ministra per il Turismo, Daniela Santanchè. La ministra ha reagito definendo le notizie come “prive di corrispondenza con la verità storica” e ha annunciato azioni legali. Questo solleva ulteriori dubbi sul possibile coinvolgimento della politica nelle decisioni della Rai. Sembra che chiunque osi mettere in discussione il potere politico sia destinato a subire le conseguenze.
Ma al di là di qualsiasi querelle politica, la scelta di spostare “Report” sembra essere errata anche da un punto di vista economico e commerciale. Il programma aveva raggiunto un notevole successo in termini di ascolti, e questa mossa rischia di mettere a repentaglio questo successo.
L’intera vicenda solleva dubbi sulla trasparenza e l’indipendenza della Rai, sottolineando quanto sia importante preservare il giornalismo d’inchiesta in un contesto in cui le pressioni politiche e commerciali sembrano sempre più influire sulle decisioni editoriali. “Report” e Sigfrido Ranucci potrebbero non essere comodi per alcuni, ma sono essenziali per la democrazia e la libertà di stampa.