La velocità, la fretta, il ritorno alla produttività sono aspetti che influiscono non solo sulla nostra sofferenza mentale, ma anche sulla necessità di risolvere subito i nostri problemi. Il mondo è pieno di tecniche che spiegano come stare meglio nel più breve tempo possibile. Internet trabocca di liste di cose da fare durante il giorno per amare se stessi, per affrontare la depressione, per liberarti dell’ansia, dalla vergogna e via discorrendo. Una narrazione che oltre ad alimentare insoddisfazione e sensi di colpa rimarca, seppur in maniera velata, lo stigma che la salute mentale delle persone non sia davvero importante, ma un ostacolo che rallenterebbe la nostra routine quotidiana.
Nell’epoca della fretta e della vergogna la sofferenza mentale perde dignità, come se fosse un problema di cattiva volontà. La pressione sociale ci obbliga a riempire il nostro vuoto con qualsiasi soluzione possibile, purché sia facile e veloce. Questo accade un po’ perché giustamente non abbiamo davvero il tempo per rallentare, in quanto spesso capita di dover convivere in contesti che sono troppo stressanti, davvero contro natura. E un po’ perché cerchiamo di evitare il vuoto il più possibile, in quanto il mondo ci ha talmente abituato alla superficialità e alla fretta, che analizzarci, entrare in profondità e metterci in discussione arriva a farci troppa paura. Per non parlare dell’ansia che ci assale in un mondo che ci porta a perdere continuamente fiducia nelle relazioni in quanto ci obbliga ad essere competitivi, perfetti e performanti, profondamente soli, ognuno con il proprio dolore.
La pandemia ha soffocato ancora di più la nostra sofferenza mentale
La pandemia ha amplificato questa tragedia collettiva, perché la pausa forzata del lockdown più che farci riflettere su noi stessi, non ha fatto altro che alimentare l’ansia e la fretta di recuperare il tempo perso e di risolvere subito i nostri problemi, prima di un’ altra pausa forzata.
Ogni cosa diventa un dovere, un obbligo, una performance anche a scapito degli altri, dimenticando la ricerca intrinseca del proprio piacere, la cura di relazioni rispettose e il bisogno dei nostri spazi che sono puramente soggettivi. Più che viverci l’attimo siamo diventati più ansiosi di dover essere subito felici, più che metterci nei panni degli altri siamo diventati ancora più giudici e manipolatori delle vite e delle sofferenze altrui. E arriva così l’amara consapevolezza che la vita per quanto possa essere bella e imprevedibile, può anche essere altrettanto ingiusta e spietata. Basta poco per sprofondare e far cadere il proprio muro di certezze.
Per questo dovremmo entrare nell’ottica che non esistono porti sicuri. Non basta bere una camomilla al giorno per superare gli attacchi di panico o combattere lo stress. Non è sufficiente leggere ogni giorno un bel libro e alzarsi presto la mattina per essere felici e motivati o schioccare le dita per amare se stessi da un giorno all’altro. Viviamo in un’epoca che ci spinge continuamente a dimostrare agli altri quanto valiamo e a non tollerare nessun tipo di impotenza e incapacità. Ed è un paradosso dato che l’incertezza regna sovrana e la nostra natura non è fatta per essere perfetta. E più cerchiamo di uscirne, più cerchiamo soluzioni, più gli effetti saranno disastrosi.
La psicoanalisi non è un porto sicuro, ma è rivoluzionaria.
Come ogni rivoluzione che reclama la libertà, la psicoanalisi deve scuotere le nostre vite, per questo non può mai essere un porto sicuro. Bisogna diffidare da chi fa finta di ascoltare o non fa altro che alimentare le vostre certezze. Diffidate da chi fa dell’empatia una forma di sponsorizzazione. La psicoanalisi è il momento in cui, attraverso la comprensione e l’ascolto, si affrontano le emozioni, i vissuti traumatici, le paure più profonde. Non è semplice né per chi la affronta né per chi ascolta. Ed è questo che è rivoluzionaria, perché non combatte contro il tempo, ma impegna paziente e terapeuta in un lavoro per viverlo meglio.
La psicoanalisi mira a ripristinare la propria libertà di scelta, a interrogare sul proprio posto nel mondo, sui propri desideri e sentimenti. Se le persone cercano terapie brevi e soluzioni veloci, l’analisi insegna a rallentare. Se la società ci impone di mostrare la versione migliore di noi stessi, la psicoanalisi accoglie gli aspetti di cui più ci vergogniamo. Quando non c’è tempo per la sofferenza mentale, la psicoanalisi ci insegna quanto tu possa arricchirti grazie ad essa. La psicoanalisi lavora dove la fiducia negli altri si interrompe.
Ora più che mai abbiamo bisogno di parlare di salute mentale e investire in programmi accessibili a tutti. La carenza di medici e di psicoterapeuti nel pubblico fa sì che i pazienti siano seguiti con superficialità. Questo comporta anche che essi siano costretti a dover pagare un costoso trattamento nel privato. È necessario lavorare per diffondere una cultura più inclusiva, che accetti le differenze, che faccia sentire i giovani meno inadeguati. E che consenta, soprattutto, di superare la vergogna di chiedere aiuto.
Roberta Lobascio