Nelle carceri italiane la redenzione ha le fattezze del suicidio

suicida in carcere Strage dei suicidi in carcere

Il 2022 non è ancora finito, ma nelle carceri italiane già si registra un numero da record di suicidi. Ebbene sì, dall’inizio dell’anno ben 59 detenuti hanno scelto di togliersi la vita. Soltanto nel mese di agosto 15 persone sono morte nelle loro celle, un suicidio ogni due giorni. Un fenomeno preoccupante, che dovrebbe porre l’attenzione su ciò che accade nelle carceri italiane, in cui sembra non esserci modo migliore di redenzione che darsi la morte.

Secondo l’art. 27 della Costituzione italiana, il carcere nasce con lo scopo di rieducare il condannato, così da consentirgli, attraverso la punizione per il crimine commesso, di intraprendere un percorso di riabilitazione. Una riabilitazione finalizzata alla comprensione dell’errore commesso, alla creazione di un nuovo individuo e alla possibilità futura di reintegrarsi nella società.

La realtà nelle carceri italiane appare mostruosamente diversa.

Considerando il tasso dei suicidi, ovvero la relazione tra il numero dei decessi e le persone detenute nel corso dell’anno, già nel 2020 con 61 suicidi il tasso era pari a 11 casi ogni 10.000 persone detenute, il valore più alto dell’ultimo ventennio. Nel 2021, seppur in calo rispetto all’anno precedente, i numeri restavano alti con 10,6 suicidi ogni 10.000 persone detenute. Arrivati al 2022 i numeri sembrano destinati ad aumentare.

Tutto questo ha in parte suscitato l’attenzione di molti sulle reali condizioni dei detenuti nelle carceri italiane, suscitando sussulti di compassione, talvolta di rabbia e il più delle volte di rassegnazione. Difatti, è opinione comune che i detenuti, il male che li ha portati dietro le sbarre, se lo siano cercato. E in parte è proprio così. Ciò che dovrebbe allarmare, però, è l’incapacità di far fronte a quello che è il reale scopo delle carceri: debellare quel male, laddove sia possibile.

Suicidi in aumento: l’importanza di un maggiore supporto psicologico

Diversi possono essere i motivi causali di una scelta irreparabile.

Molti detenuti – compresi i giovanissimi tra i 21 e i 29 anni – mal sopportano l’idea della solitudine, lo strappo accompagnato dalla vergogna, dallo stigma sociale che si riversa non solo sulla propria immagine, ma su quella dei propri cari. L’idea di non avere più alcuna possibilità di superare quel baratro, porta alla scelta di abbandonarvisi, cadendoci dentro.

Secondo Carlo Renoldi, capo del DAP, l’aumento dei suicidi in carcere fa comprendere – con brutale evidenza – l’urgenza di migliorare le condizioni attualmente caratterizzanti le carceri, fornendo maggiore supporto a chi si dimostra particolarmente fragile. Nel 2022, molti dei detenuti suicidi soffrivano di patologie psichiatriche o di dipendenza da droghe. Tra le persone fragili c’era anche Donatella, 27 anni, detenuta nel carcere di Verona e affetta da problemi di dipendenza. Colpevole di una serie di furti, si era ritrovava in carcere dopo essersi allontanata da una comunità a cui era stata affidata. Infine, la scelta di morire, perché “ho paura di tutto”.

È evidente, dunque, che tra le numerose problematiche delle carceri italiane, oltre al sovraffollamento, ai soprusi e ai pochi medici, vi è anche l’assenza di un percorso che sappia includere non solo le celle, ma un programma terapeutico. Sempre Carlo Renoldi, a tal proposito, dichiarerà: Serve senza dubbio un maggiore supporto psicologico, quindi più personale medico specializzato inviato dalle Asl. Intanto, in accordo con la ministra Cartabia abbiamo destinato circa 2,7 milioni di euro, con una variazione del bilancio in corso d’opera, per aumentare di 200 unità la presenza di psicologi: la profonda solitudine è spesso alla radice di tanti gesti estremi”.

Angela Piccolomo

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