L’Unione europea ambisce a diventare il primo continente al mondo a impatto climatico zero entro il 2050: «Non genererà emissioni nette di gas a effetto serra – si legge nella comunicazione della Commissione, Il Green Deal europeo – e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse».
La pandemia di Coronavirus ha ravvivato il dibattito sul cambiamento climatico, la transizione energetica e l’economia sostenibile. Le istituzioni europee hanno inserito nel piano di rilancio dell’economia del Vecchio Continente, denominato Next Generation Eu, la lotta alla crisi climatica, l’avvio verso un sistema sostenibile e l’abbandono graduale dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas).
Il 2020 a causa dei prolungati lockdown sarà ricordato come l’anno della riduzione delle emissioni di gas serra. In Italia, già nell’aprile scorso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) aveva stimato un crollo attorno al nove per cento. Eppure, l’anno che si è appena concluso chiude il decennio più caldo di sempre, secondo il World Meteorological Organization.
Intanto, è concreto il rischio che la temperatura media globale possa aumentare di 3,2 gradi entro la fine del secolo. Le Nazioni Unite lanciano l’allarme, e invitano però il mondo a riprendersi dalla pandemia puntando al taglio delle emissioni. Con un Green Recovery globale, è possibile ridurre del 25 per cento l’inquinamento atmosferico entro il 2030.
🔴The #EmissionsGap🔴
Despite a dip in CO2 emissions caused by the #COVID19 pandemic, the world is still heading for a temperature rise in excess of 3°C this century.
But a low-carbon recovery could cut 25% off the emissions we expect to see in 2030: https://t.co/Nl7O30TaNs pic.twitter.com/dN68mw5x9C
— UN Environment Programme (@UNEP) December 9, 2020
Recovery plan e transizione energetica
Proprio in questi giorni in Italia si discute di recovery plan. Un dibattito lungo e faticoso che il governo giallorosso porta avanti dal luglio scorso con gli Stati Generali, che avrebbero dovuto fare da vetrina per idee e progetti innovativi.
Tra un paio di settimane l’Italia deve presentare all’Europa il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di cui da mesi circola la bozza per potere ottenere la prima tranche di risorse del Next Generation Eu.
Alcune delle misure più importanti contenute nel Pnrr, che verranno senz’altro confermate, sono quelle destinate ad accelerare la transizione energetica. Tappa imprescindibile per la riuscita di una mitigazione dei cambiamenti climatici è il passaggio alle fonti rinnovabili. In Europa, nel 2020 la quota di energia pulita ha superato quella prodotta con i combustibili fossili
Il 32 per cento delle risorse europee per la ripresa economica devono essere destinate a combattere il riscaldamento globale. E per l’Italia sembra già chiaro come raggiungere questo obiettivo. Una parte dei soldi europei infatti finiranno nelle mani delle multinazionali del petrolio e del gas. Le sorelle dei combustibili fossili hanno in questi ultimi dieci anni accelerato sulla diversificazione delle fonti energetiche. Ampliare il mix delle rinnovabili è una strategia cara oggi più che mai al mercato oltre che all’Europa.
La collaborazione con le multinazionali, la politica dia delle regole
Eni, Enel, Snam, Terna, e le multiutility italiane puntano a ottenere i fondi per mettere in atto i progetti sostenibili. Parliamo di miliardi (talvolta di milioni) di euro.
Per prima cosa, il nostro Paese punta all’idrogeno “blu”, sfruttando giacimenti di metano esauriti, quelli appena scoperti e infine le infrastrutture già esistenti come i gasdotti. E a quello “verde”, ultimo tassello della transizione energetica.
Le perplessità dell’opinione pubblica, quando tanti soldi vengono affidati alle multinazionali, sono comprensibili. In fin dei conti, prendiamo il caso dell’Eni, una parte nelle mani del ministero del Tesoro, chi controlla che faccia il proprio dovere in una fase così delicata?
Citando Jeremy Rifkin, autorevole economista americano, i privati dovranno scegliere se cambiare, o morire con i combustibili fossili. Prossimi a esaurirsi.
L’Italia ha commesso però degli errori. Primo: non ha inserito lo stop alle nuove trivellazioni, segno che non sono ancora maturi i tempi per un taglio drastico alle fonti fossili. Secondo: non c’è traccia della riforma promessa dei sussidi ambientalmente dannosi.
Nei prossimi dieci anni, l’aumento stimato del prezzo del petrolio e la riduzione di quello del gas spingerà le multinazionali a sfruttare il metano, anche con l’obiettivo di accompagnare l’economia verso la transizione senza eccessivi traumi.
Ci sono anche altri capitoli: l’etica. Perché su vasta scala si realizzi un’economia sostenibile sono necessari alcuni valori: il rispetto dei diritti umani, la fine dello sfruttamento nei Paesi in via di sviluppo, il rifiuto della corruzione e della malavita.
L’Eni si è resa protagonista di “scandali” senza dubbio passati in sordina. Eppure mi chiedo: cosa propongono i detrattori in concreto? Meglio, forse, sparpagliare i soldi del recovery plan affidandoli ai piccoli privati facili prede in tante occasioni delle organizzazioni criminali?
Chiara Colangelo