Israele sta bruciando il suo futuro nel massacro di Gaza

La guerra contro Hamas entra nel settimo mese. Le Forze israeliane bloccano gli aiuti umanitari al valico di Rafah. Si allontana la tregua in vista del Ramadan.

massacro di Gaza

Il massacro di Gaza non si ferma mentre i negoziati per un cessate il fuoco sono di nuovo in stallo. I bombardamenti e la fame continuano a fare strage di civili e la Striscia rischia di diventare la più grande tomba a cielo aperto  del mondo. Con la sua arroganza, il premier Netanyahu ha deciso di legare il destino d’Israele al suo personale tracollo politico.

 

Un primo muro alto cinque metri, sormontato da una tripla cortina di filo spinato, come una corona di spine. E poi ancora un’altra barricata di cemento grigio che svetta per 12 metri. Davanti una macchia di erba secca mista a sabbia.  E’ così che appare il valico di Rafah a chi guarda dal confine egiziano.  Al di là della recinzione elettrificata, reggimenti di carri armati, droni e soldati montano la guardia alla prigione a cielo aperto più grande del mondo. Il punto d’ingresso più meridionale per accedere alla Striscia, situato in Egitto ma in gran parte controllato dalle forze armate israeliane, è l’anticamera dell’inferno, l’ultimo confine tra la civiltà e il massacro di Gaza.

Al di là del valico di Rafah, la guerra penetra nella carne di tutti, senza fare distinzione tra uomini e donne, bambini o anziani. Esseri umani piegati dalla fame e dalle bombe vagano come spettri in cerca di cibo tra le macerie e i corpi ammucchiati agli angoli delle strade. Chi è sopravvissuto fino ad oggi al massacro di Gaza, ha oramai dimenticato che gusto ha il pane soffice della pace.

Come sempre accade in guerra, anche a Gaza, la fame si è rivelata essere l’arma di gran lunga più efficiente. Da sette mesi, le forze israeliane affamano i palestinesi prigionieri nella Striscia  bloccando i camion carichi di aiuti umanitari e imponendo controlli che possono durare fino a 30 giorni

L’allarme lanciato dall’ONU lo scorso dicembre che aveva previsto un’insicurezza alimentare acuta nel febbraio 2024 per gli oltre due milioni e mezzo di palestinesi a Gaza, è diventato una triste realtà. Alla fine di febbraio,  le condizioni sono precipitate al punto che, secondo le Nazioni Unite, almeno 576.000 persone – un quarto della popolazione totale – è oramai ad “un passo dalla carestia”.


Da alcune settimane sopra le rovine macinate dalle bombe da mille chili sono iniziate a piovere con maggiore intensità razioni di cibo pronto paracadutate da Usa, Egitto e Giordania; poche gocce d’acqua nell’abisso profondo del massacro di Gaza.

Nel siparietto di mezze verità, ottimismi e bugie, calato su Gaza dopo il 7 ottobre, il Primo ministro Israeliano, Benjamin Netanyahu, ha sempre confermato la volontà di non arrestare la macchina bellica israeliana. La guerra deve proseguire perché Hamas va annientato e Gaza deve rimanere sotto il “controllo israeliano senza limiti di tempo”.  Autoproclamatosi padre spirituale e padrone del destino politico d’Israele, Netanyahu, vuole adesso spianare anche l’ultima città rimasta in piedi nella Striscia, Rafah, dove sopravvivono stipati un milione e mezzo di palestinesi fuggiti dal nord. Ma non pago del massacro in corso a Gaza, il premier israeliano  ha autorizzato la costruzione di 3500 nuovi alloggi per i coloni israeliani nella Cisgiordania occupata.

Le guerre dipendono dagli scopi che i belligeranti si propongono e quali siano quelli di Israele resta ad oggi molto incerto. L’evidenza dei fatti dimostra che l’offensiva delle Idf per vendicare gli orrori compiuti da Hamas il 7 ottobre, non ha prodotto l’esito sperato. In sette mesi di conflitto, le forze dello Tshàl, l’esercito “più morale del mondo”,  – così lo aveva definito il Primo Ministro Israeliano, Benjamin Netanyahy a novembre – hanno fallito i protocolli di targeting sterminando un numero spropositato di civili, riuscendo a neutralizzare poche migliaia di terroristi. Ma nella matematica dei morti di Gaza, la formula Israeliana è semplice quanto spietata: distruzione per distruzione.

Durante il suo interregno, Netanyahu ha vietato in ogni modo ad Israele di tentare un riavvicinamento con i palestinesi; lavorando alacremente per scongiurare la distensione, il premier israeliano ha pensato di accrescere il proprio potere sulla paura di una ritorsione del nemico esistenziale dello stato ebraico.

Prima del 7 ottobre, in molti in Israele pensavano che Hamas avesse perso interesse per un scontro su larga scala; eppure, l’innesco dell’attuale conflitto è arrivato direttamente dalla “pacificata” Gaza. Quando ciò è accaduto, Netanyahu ha còlto al volo l’occasione lanciando la locomotiva militare israeliana sui binari della guerra permanente. Ma non sempre trascinare con l’astuzia o con la forza il tuo nemico nella mischia si rivela la mossa che ti permette di uscire vincitore dallo scontro. La Storia ha il respiro lungo e non consente agli esseri umani di ignorare la realtà in eterno. Prima o poi l’anti-storia soccombe e la verità straripa.

Con il passare dei mesi il sanguinoso pantano di Gaza è diventato anche quello d’Israele. Per i palestinesi vessati la carestia è oramai dietro l’angolo, ma per il popolo israeliano la vittoria della loro sicurezza non è mai stata così lontana come in questo momento. Il mancato raggiungimento di un cessate il fuoco e le dichiarazioni sempre più arroganti di Netanyahu, irritato dai continui richiami all’ordine da parte del più fedele alleato di Israele, gli Usa, hanno perturbato le opinioni pubbliche mondiali.  Un‘analisi della rivista Time dello scorso gennaio mostra come l’appoggio incondizionato a Israele sia sceso globalmente di una media di 18,5 punti percentuali tra settembre e dicembre, diminuendo in 42 dei 43 paesi intervistati.

Nel massacro di Gaza c’è tutto il fallimento della deterrenza militare israeliana, impastato con l’inconsistente vuoto politico di Netanyahu, il quale non ha ancora compreso – e forse non lo farà mai – che la sicurezza  dello Stato ebraico non si blinda con le bombe, né la disputa con i palestinesi  scompare se la si seppellisce sotto una coltre di polvere e macerie.

 

 

Tommaso Di Caprio

 

 

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