Nel capitalismo globalizzato sguazzano i giganti del web

giganti del web

Le aziende che dominano il web si contano sulle dite. Sono di dimensioni gigantesche, operano in luoghi non sempre reperibili, rappresentano le nuove forme del capitalismo globalizzato. I giganti del web hanno i numeri degli Stati (se non di più) e un potere operativo quasi incontrollabile. Al loro cospetto, gli Stati nazionali sembrano ormai degli amministratori locali. Le nostre routine quotidiane sono ormai plasmate dalle loro forme, dai loro sistemi, dalle loro notifiche, dai loro emoticon. Come se non bastasse, l’arrivo della pandemia ha incrementato la loro forza.

Il capitalismo globalizzato e i suoi effetti



Il capitalismo globalizzato, tra le altre cose, ha generato imprese diventate mostri transnazionali che (in fondo) possiedono un enorme potere sia a livello economico che “politico”. Un potere senza misura, perché senza misura è l’espansione del capitalismo. Il capitale si estende grazie ad interventi di natura strettamente finanziari e si concentra in dei poli. Questi poli possono avere la forma di un’azienda petrolifera, di un colosso del web, di una milizia armata, di una cosca mafiosa, ecc.. non ha importanza. Dietro al sistema produttivo prevalente della nostra specie, il capitalismo globalizzato, non c’è più alcuna ideologia politica. In un Seminario straordinario del 2013, trascritto in un libricino denominato “Il nostro male viene da più lontano”, il filosofo francese Alain Badiou espone uno scenario molto esauriente del modo in cui le imprese fanno affari facendo a meno degli Stati:

“Anziché assumersi il compito gravoso di costituire degli Stati sotto tutela della metropoli o, più ancora, degli Stati direttamente metropolitani, si può semplicemente distruggere gli Stati. La coerenza di questa possibilità è testimoniata dalla progressiva privatizzazione, del capitalismo globalizzato. In fin dei conti in alcune aree dotate di ricchezze naturali, si possono creare delle zone franche, anarchiche, in cui non c’è più lo Stato, in cui, di conseguenza, non c’è più da discutere con un mostro temibile qual è pur sempre uno Stato, per quanto debole. Si può eludere il rischio costante che uno Stato ti preferisca un altro cliente, o in altri problemi commerciali. In una zona in cui ogni vera potenza statale è scomparsa, l’intero microcosmo delle imprese opererà senza grandi controlli”

I giganti del web: forze al pari degli Stati, a voler essere buoni con gli Stati!

Le riflessioni di Badiou sono facilmente riconciliabili anche al periodo attuale. Più precisamente oggi  la “zona franca”, il posto dove ” le imprese godono dell’anarchia”, insomma, gli spazi prediletti del capitalismo globalizzato, pare siano proprio quelli virtuali,  il web. Nel 2017, nel vertice del G7 tenutosi ad Ischia, tra i leader dei paesi più potenti al mondo siedono anche rappresentanti di Facebook, Google, Microsoft, Amazon ed Apple. Tra le tematiche da discutere vi erano, infatti, quelle riguardanti internet e la sicurezza informatica. Membri di aziende private presero parte, dunque, a discussioni di massimo livello governativo. Chi conosce la materia in questione, come il professor Luigi Martino che insegna cyber security e relazioni internazionali all’Università di Firenze, non si mostra per nulla sorpreso di questa condizione, anzi:

“Questa presenza sancisce il fatto che quando si parla di internet ci sono alcune aziende che sono allo stesso livello degli Stati o di entità sovranazionali come l’Unione europea. E’ un rapporto tra pari, a voler essere generosi nei confronti degli Stati”

La forza dei giganti del web e la nostra dipendenza da essi

A seguito della pandemia i giganti del web si sono resi ancora più forti di quanto già non lo fossero prima. Chat di Wahtsapp, riunioni on line gestiti per la maggior parte da Microsoft e Google. In un mondo che tiene le saracinesche dei negozi chiusi, Amazon ha incassato il 40% di entrate in più. Il 14 Dicembre scorso, a seguito del blackout dei servizi Google, Uffici e abitazioni sono rimasti come paralizzati . La pandemia ci ha fatto toccare con mano il costante contatto quotidiano che abbiamo con questi meccanismi, la nostra dipendenza da essi. Basta dare un’occhiata ai numeri per capire di cosa stiamo parlando. Prendiamo Facebook: produce il Pil che produce la Turchia; ha un popolo  di iscritti equivalente al doppio della popolazione cinese e in borsa vale 760miliardi di dollari. Fare concorrenza a queste mega aziende è pressoché impossibile. Prendiamo Google: il 90% delle ricerche che si fanno sul web passa attraverso questo motore di ricerca; Insieme alla già citata Facebook, controlla il 95% della pubblicità on-line; sul 99% degli smartphone è installato un sistema operativo di Google (android) o Apple (iOS).

E’ come se il capitalismo globalizzato avesse trovato dimora

E’ come se il capitalismo globalizzato avesse trovato il posto ideale, un posto dove si può dire di tutto, scambiarsi di tutto, fare di tutto, senza che chi gestisce tutto questo possa incorrere in censure o penalizzazioni. Senza correre quei rischi che chi dirige un giornale, ad esempio, invece deve correre ogni giorno. Il Manifesto, nell’edizione di oggi 14 gennaio, lamenta  che Google avrebbe eliminato, senza preavviso, la loro App da Play Store. Google avrebbe chiesto alla redazione dello storico giornale di sinistra di “provare di essere veramente un giornale”, inoltre avrebbe  richiesto in regalo un abbonamento per verificarne la professionalità e altre cose, possiamo dire, abbastanza assurde. Nonostante Il Manifesto abbia  cercato di fornire a Google quanto richiesto, alcuni problemi (non inerenti al giornale, ma al gigante del web) stanno tenendo la App del giornale ancora sospesa. Per una riflessione interessante sull’argomento consiglio il punto di Paolo Pagliaro nel servizio di Otto e mezzo di ieri sera.

Gabino Alfonso

 

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