Fallimento dei negoziati a Busan: il trattato sulla plastica rimandato

il fallimento dei negoziati a Busan

I tanto aspettati negoziati a Busan, in Corea del Sud, si sono conclusi con un nulla di fatto, decretando così il fallimento del quinto ciclo di negoziati delle Nazioni Unite per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. Nonostante due anni di trattative e l’urgenza di un accordo, il processo si è arenato di fronte alle divisioni tra i paesi produttori di petrolio e quelli favorevoli a misure più ambiziose.

Divergenze profonde nei negoziati a Busan: produzione vs riciclo

Il nodo principale che ha paralizzato i lavori dei negoziati a Busan è stato il confronto tra due visioni opposte: la “High Ambition Coalition” (HAC), sostenuta da oltre 100 paesi tra cui molte nazioni africane, europee e asiatiche, chiedeva limiti alla produzione di plastica e un approccio integrato che coprisse l’intero ciclo di vita del materiale. Dall’altra parte, paesi come Arabia Saudita, Russia e Iran hanno spinto per un trattato meno vincolante, limitato alla gestione dei rifiuti e al riciclo, senza intervenire sulla produzione.

I due schieramenti in cui i Paesi si sono divisi al vertice di Busan sono stati tra quelli che sono favorevoli ad accordi sui limiti della produzione di plastica e quelli che invece vogliono approfondire la questione dei rifiuti, senza però porre limiti alla produzione di materie e risorse. Nonostante i progressi che, nel corso degli anni, si sono ottenuti, il responsabile dei colloqui e dei negoziati a Busan, Luis Vayas Valdivieso, ha sottolineato che ci sono tutt’oggi delle situazioni ancora critiche e nodi che ancora non sono stati sciolti.



La Cina, il maggior produttore mondiale di plastica, ha mantenuto una posizione ambigua nei negoziati a Busan: ha appoggiato alcune misure, ma si è opposta fermamente a limiti sulla produzione. Anche gli Stati Uniti, inizialmente favorevoli a misure più stringenti, sembrano ora più cauti, soprattutto in vista di un possibile cambio politico interno.

Conseguenze globali dell’inazione

Le stime attuali evidenziano che ogni anno vengono prodotte circa 460 milioni di tonnellate di plastica, con previsioni di un possibile triplicarsi entro il 2060. Solo il 9% di questa viene riciclato, mentre oltre 20 milioni di tonnellate finiscono nei mari e nei corsi d’acqua, contribuendo a un inquinamento devastante per gli ecosistemi marini e terrestri.

La plastica è inoltre responsabile di circa il 3% delle emissioni globali di gas serra, aumentando l’urgenza di trovare soluzioni concrete. Le microplastiche, frammenti minuscoli che si disperdono nell’ambiente, stanno contaminando anche il corpo umano, con implicazioni ancora poco chiare per la salute.

Gli interessi economici che bloccano il progresso

Gli stati produttori di petrolio, come Arabia Saudita e Russia, hanno motivato la loro opposizione con ragioni economiche, dimostrando quindi che gli interessi economici e le volontà di accumulazione del capitale superano ogni interesse di cura verso l’ecosistema. La plastica, derivata principalmente dai combustibili fossili, rappresenta una risorsa fondamentale per le loro economie. Un ridimensionamento della produzione avrebbe effetti diretti sulla domanda di idrocarburi, mettendo a rischio la loro stabilità economica.

Anche le lobby dell’industria petrolchimica hanno esercitato una forte pressione durante i negoziati a Busan. Solo negli incontri preliminari in Canada erano presenti oltre 200 lobbisti, più degli scienziati coinvolti nei lavori.

Frustrazione e passi futuri

Le organizzazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace e WWF, hanno espresso profonda delusione per il fallimento dei negoziati a Busan, sottolineando che l’inazione rischia di avere conseguenze devastanti per il pianeta. “Le soluzioni sono già note, serve solo il coraggio di implementarle”, ha dichiarato Graham Forbes di Greenpeace.

Alcuni delegati, come Cheikh Sylla del Senegal, hanno auspicato una pausa per rivedere le strategie e cercare un accordo più bilanciato. Tuttavia, il rischio è che questa pausa si traduca in ulteriori ritardi, con il pericolo di un trattato svuotato di efficacia.

Il mancato accordo, che si aspettava come risultato più ovvio dei negoziati a Busan, sottolinea le difficoltà di conciliare interessi economici e ambientali a livello globale. Sebbene i lavori riprenderanno il prossimo anno, la strada verso un trattato vincolante e ambizioso appare in salita. Intanto, l’inquinamento da plastica continua a crescere, sollecitando interventi urgenti per proteggere il pianeta e le generazioni future.

Lucrezia Agliani

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