I 5 pilastri del negazionismo climatico: come negare la crisi ambientale

negazionismo climatico

Pare che gli struzzi abbiano la tendenza a nascondere la testa sotto il terreno, quando sono spaventati da qualcosa che accade attorno a loro: nel caso del genere umano però, nascondere la testa sotto il terreno – oggi – pare quasi impossibile: alluvioni, frane, roghi, eventi di inaudita violenza, testimoni della crisi climatica in corso. Quando il terreno non è più stabile, e smotta sotto ai tuoi piedi, dove puoi quindi rifugiarti per allontanare lo sguardo da ciò che ti circonda?
Un’unica strada c’è, effettivamente: quell’ostinato negazionismo climatico, che soprattutto piace a politici e industrie.

Sulle questioni ambientali, il mondo si sta sempre più polarizzando: se da un lato Londra se ne esce dichiarando neofascisti gli attivisti di Extinction Rebellion, quel brutto fenomeno del negazionismo dilaga già impellente, e da anni, anche all’interno del dibattito ambientale. Sugli ultimi roghi in Australia poi, di notizie false ne sono circolate di ogni genere e varietà: il numero di animali rimasti uccisi, l’estinzione funzionale dei koala, vombati che salvano i loro compagni di sventura…
Per ogni catastrofico evento, il negazionismo climatico sceglie difatti le sue armate designandole ad hoc  (la stagione dei monsoni in India, il ricambio delle foreste in Amazzonia, i piromani in Australia…), eppure esiste di fondo quel che potremmo definire una specie di strategia: Mark Maslin, docente del master di Cambiamento climatico all’UCL di Londra ha addirittura identificato quelli che sarebbero i “cinque pilastri” del negazionismo climatico; che sempre più – a ben vedere – prende esattamente la forma di quei dogmi ostinati e irrazionali delle sette dei fanatici religiosi.

(In una puntata de Non è l’Arena, saltando al minuto 00:37:00 Salvini dà fiera mostra di negazionismo climatico elogiando il surriscaldamento globale):





L’irragionevolezza di chi nega la crisi climatica si scontra, innanzitutto, niente di meno che contro la scienza: nonostante le continue pubblicazioni riguardo alle principali cause e alle matrici – noi, esseri umani – di quelli che non sono più semplici cambiamenti, si cerca ancora, prima di tutto, di ricondurre fenomeni come la distruzione di 10 milioni di ettari di territorio in Australia a “comuni eventi di stagione” (di fatto, un numero più che doppio rispetto a quelli registrati in una delle annate più drammatiche, il 1974, quando furono 3,5 milioni gli ettari colpiti ad esempio in New South Wales).

Il secondo argomento dei negazionisti del clima guarda invece ad aspetti più pragmatici: sostenendo quindi, che sarebbe comunque economicamente impossibile invertire la tendenza, quando secondo gli economisti, allo stato attuale, basterebbe un misero 1% del PIL mondiale per tentare di rimediare a ciò che nel 2050, potrebbe costarci ben 20% del PIL (considerando oltretutto, che l’industria dei combustibili fossili riceve attualmente sussidi per 5,2 miliardi di dollari, già 6% del PIL che potrebbero essere invece investiti a fin di bene, in direzione opposta).

Il terzo pilastro si vela di benevolenza: affermando che le catastrofi in corso ai quattro angoli del mondo, potrebbero rendere il clima più temperato, e così più abitabile per alcune popolazioni (oltre che chiaramente, più economicamente favorevole, per l’agricoltura e l’allevamento). Occultando però, che contemporaneamente a questa apparente mitigazione delle temperature in determinate zone prima tropicali oppure ghiacciate, stanno avvenendo sempre più eventi fuori dalla norma: siccità, ondate di calore come quella che nel 2010 uccise 11.000 persone in Russia… Non ultimo, è sempre la scienza a denunciare l’aumento delle vittime di malattie correlate all’inquinamento ambientale.

Quarto pilastro: perché ad agire dovremmo essere noi, quando altri non attueranno alcun cambiamento che potrebbe arrestare la loro crescita? In questo caso, sono soprattutto aziende e leader negli Stati Uniti e in Europa, a puntare il dito contro paesi ormai ex “in via di sviluppo”, e i quali stanno anzi assumendo i nostri stessi ritmi. Oltre al fatto che secondo lo studio di Maslin, cambiamenti come la conversione alla green economy si rivelerebbero un win-win (si vince tutto) tanto per l’ambiente quanto per l’economia, e sarebbero dunque vantaggiosi per qualunque paese, noi “in Occidente” non dovremmo trascurare che stati come l’India (oggi responsabile del 3% delle emissioni mondiali di CO₂) o la Cina (13%) non vantano ancora la nostra eredità di emissioni del passato; né che comunque su di noi grava già fra il 22% (Europa) e il 25% (Stati Uniti) dell’inquinamento atmosferico.

Il quinto pilastro infine, è un augurio ottimista: non occorre affannarsi ora, nell’elaborare e attuare politiche ambientali: c’è ancora tempo, e con il PIL mondiale costantemente in crescita, saremo inoltre più ricchi, più tecnologicamente sviluppati, più ben disposti ad affrontare la crisi climatica. Maslin fa sapientemente notare come questo argomento faccia presa soprattutto su chi è restio a cambiare abitudini, ora che è “ben sistemato” (ad esempio, con un’abitazione sicura ancora non distrutta da un rogo o da un’alluvione, e con risorse a portata di supermercato):

They also play on our emotions as many of us don’t like change […].


Un negazionismo climatico quindi, che spesso provoca indignazione di fronte alle assurdità twittate quotidianamente da Trump, sostenute ai tempi da Bolsonaro, e ultimamente dal primo ministro Scott Morrison, che attribuisce i roghi australiani ai sollazzi dei piromani. Secondo le stime, circa un terzo della popolazione australiana, canadese e statunitense vi crede ancora. D’altra parte, è vero che in Europa persino i conservatori hanno ormai quasi del tutto abbandonato questi pilastri, ammettendo politiche ambientali nelle loro agende; è anche vero però, che spesso i risultati sono deludenti, oppure quegli stessi traguardi non vengono rispettati.


In Italia nello specifico, nonostante gli ultimi – necessari – blocchi del traffico nelle principali città, nonostante il continuo greenwashing che permea le campagne politiche da destra a sinistra, assistiamo ancora a casi in cui Salvini cerca di sdrammatizzare scimmiottando le gag di Trump:

«Da quando hanno lanciato l’allarme del riscaldamento globale fa freddo, c’è la nebbia. Lo sto aspettando questo riscaldamento globale».

E giornali come La Verità. Libero, Il Foglio e Il Giornale, che non solo hanno fatto della diciassettenne Greta Thunberg il loro capro espiatorio per eccellenza, ma continuano a diffondere il verbo del negazionismo climatico proprio basandosi su quei cinque pilastri di cui sopra.

 

Alice Tarditi

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