Negare l’evidenza: come evitare di far crescere “L’elefante nella stanza”

La verità fa male. Quasi sempre. Quindi tanto vale negarla. Anche se si tratta di negare l’evidenza. “The elephant in the room” è il saggio del sociologo Eviatar Zerubavel che dà eco al silenzio.  E rilevanza alle “cospirazioni” che dietro di esso, spesso, si nascondono.

“L’elefante nella stanza” è un’espressione tipica della lingua inglese per indicare una verità che, per quanto ovvia ed ingombrante, viene ignorata o minimizzata. Si riferisce cioè ad un problema noto ma di cui nessuno vuole discutere. L’idea di base è che un elefante dentro una stanza è impossibile da ignorare e quindi, se le persone fanno finta di non vederlo, la ragione è che così facendo sperano di evitare il problema. E iniziano così a negare l’evidenza.

negare l'evidenza
Fonte: flickr.com

A proposito dell’attitudine a negare l’evidenza, la psicologia ci dice alcune cose interessanti.
Negare l’evidenza è una reazione primitiva e immatura: non ci aiuta a governare la realtà nel medio-lungo periodo, e non la cambia. Piuttosto, provando a cancellarla, la maschera o la nasconde, rischiando di renderla nel tempo ancora più ingestibile. Eppure, è irresistibile, almeno per la maggior parte: fare finta che tutto vada bene. Scambiare gli elefanti per libellule.

Negare sempre quindi. Negare l’evidenza soprattutto. Con la speranza, o la convinzione, di riuscire a farla franca. Di uscire vittoriosi da quella scommessa, fatta il più delle volte anche solo con sé stessi, sul fatto che tutto andrà bene, e che col tempo l’elefante andrà via.
Sbagliato. Col tempo l’elefante crescerà, e sarà solo più complicato da gestire. Negare l’evidenza diventerà sempre più difficile.

Secondo Zerubavel la spirale della negazione è infatti destinata a trasformarsi in “cospirazione del silenzio”.

L’unico modo per farsi spazio nel circolo vizioso è alzare bandiera bianca di fronte ai continui assalti della realtà.
La faticosissima pratica della negazione può infatti condurre alla minimizzazione del problema o all’apatia verso il contesto, ma mai alla risoluzione, anzi.

Andersen nella fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” insegna che prima o poi la verità si paleserà agli occhi di tutti. E che lo farà nel peggiore dei modi possibili.
Il non detto però è da sempre una tendenza, radicata tanto a livello personale quanto collettivo. Fenomeni sociali in cui regole di pertinenza diventano regole di irrilevanza, perché figlie di aspettative tramandate di generazioni in generazioni, in cui negare è la tradizione.

Segreti dunque visibili, ma non riconosciuti, alimentano l’elefante nella stanza ed evitano che si trasformi in uno scheletro dentro l’armadio. Perché la negazione delle realtà, sociali o personali, non è mai una favola. Ma piuttosto una mano che scosta la tenda per vedere, ma decide di non guardare.




Dalla vita privata a quella politica, le pressioni sociali fanno sì che le persone neghino “ciò che è giusto” davanti ai loro occhi. La negazione di uno è simbioticamente integrata da quello dell’altro e i silenzi diventano immensi, sempre sotto gli occhi di tutti. Ogni elusione innesca una spirale di negazione ancora maggiore: più a lungo ignoriamo gli elefanti nella stanza, più grandi diverranno nelle nostre menti.

Seppur amara dunque la realtà è, dal punto di vista sociologico, l’unico mezzo per trasformare la proboscide in alicorno, sconfiggere il silenzio, aprire la stanza e galoppare leggeri, lontani dalla trappola della negazione.

Emma Calvelli

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