Autore di bellissimi versi d’amore, e non solo, Nazim Hikmet è senza alcun dubbio il poeta turco più famoso in Occidente. A cosa deve la sua fama?
In parte all’abilità con la quale si destreggia con le parole , in parte alla sua sensibilità, che traspare e permea tutta la sua produzione – dalle poesie a tematica amorosa, a quelle che invece abbracciano l’umanità da un punto di vista più politico e sociale.
Nazim Hikmet ci parla delle piccole cose quotidiane, dell’attenzione al dettaglio che passa inosservato allo sguardo distratto e che ha valenza emotiva straordinaria. Il tutto viene filtrato attraverso lo sguardo di un uomo che ha vissuto esperienze molto forti.
Per questo, per cercare di comprendere davvero il punto di vista dell’autore, in questo caso più che in altri, vale la pena di soffermarsi sulla sua storia biografica.
Nato a Salonicco nel 1902, l’amore per le parole lo eredita dal nonno, che era politico ma anche filologo. A diciassette anni Hikmet si iscrive all’Accademia Marina, a diciotto scappa in Anatolia, dove è in corso la guerra di liberazione. Si avvicina poi al marxismo, agli ideali della rivoluzione sovietica, e si trasferisce a Mosca, dove incontra Lenin e conosce Majakovskij. Nel 1928 torna clandestinamente in Turchia, dopo essere stato bandito per i suoi ideali politici, e nel 1938, dopo varie condanne, viene dichiarato colpevole di propaganda comunista e complotto contro il governo.
Questa condanna gli costa dodici anni di carcere, una pena che sconta in Anatolia. Solo nel 1950 Nazim Hikmet può uscire di prigione e fare ritorno a Istanbul.
La sua libertà la deve anche all’intervento di una commissione internazionale, composta tra gli altri da Picasso, Sartre e Neruda, . Nello stesso anno, il governo organizza due attentati alla sua vita, e tenta di arruolarlo nonostante i suoi problemi di salute, in parte dovuti ad uno sciopero della fame durato 18 giorni, mentre si trova in galera. Solo un anno dopo, costretto, lascia la terra natia e la moglie Munever, che aspettava il loro figlio. Si ritrova così a Mosca, dove rimane fino alla sua morte, nel 1963.
La produzione poetica di Nazim Hikmet è fortemente influenzata dall’esperienza di vita, sia da un punto di vista politico che sentimentale.
La sua è una poesia che viaggia in equilibrio su un filo, tra distacco e attaccamento. Il poeta è lontano dalla patria, dagli affetti, ma si percepisce come l’essenza di ciò che ha lasciato resta lì, un sedimento di sentire sospeso all’interno. Una poesia annodata tra il qui ed ora, e una malinconia per il passato, per quello che è stato lasciato fisicamente e che è rimasto presente nell’oggi come nel futuro.
La poesia di Hikmet è struggente e delicata, non è un pugno allo stomaco, ma una spinta naturale verso l’esistenza nella sua temporaneità, nel suo fluire tra le correnti spazio – temporali. A volte dense di gioia di vivere, anche quando trasudano tristezza e malinconia, le sue poesie non si traducono in scoraggiamento, ma attaccamento alla vita e alla sua sensazionalità.
I suoi versi sono uno slancio verso nuovi scenari. Sono la libertà che Hikmet non trovava nella vita, nel carcere, ma nelle parole, nel ricordo, nell’immaginazione. Dove la nostalgia, e la tristezza si trasfigurano i un viaggio vero e proprio, ad occhi chiusi.
Bakù, 1957
La tristezza sulle mie spalle
è una camicia di tela da vela
lavata all’acqua di mare
con una spazzola di ferro
sil ponte spazzato dal vento.
E in questo villaggio del sud, senza sosta né tragua,
il sole rosseggia e si gonfia di miele
sulle fanciulle e dentro le albicoccheNazim Hikmet
Sofia Dora Chilleri