Il nuovo report di “Cristosal”, gruppo per i diritti umani, mette a nudo il costo umano della controversa “guerra alle bande” di El Salvador, affermando che dozzine di prigionieri sono stati torturati e uccisi in carcere dopo essere stati coinvolti nella repressione della sicurezza durata un anno. Il dettagliato rapporto di “Cristosal” ha affermato che almeno 153 persone sono morte in custodia dopo essere state arrestate come parte dell’offensiva durata un anno del presidente Nayib Bukele contro le famigerate “pandillas” del paese centroamericano
Il nuovo report di “Cristosal”
Lo scorso 29 maggio il gruppo per i diritti umani in centroamerica chiamato “Cristosal” ha pubblicato un report chiamato “Un anno sotto il regime di emergenza: una misura permanente di repressione e violazione dei diritti umani”, il quale mette in luce come dozzine di prigionieri sono stati torturati ed uccisi in carcere dopo essere stati coinvolti nella repressione di sicurezza durata un anno. Il report vuole principalmente sottolineare come l’esecuzione di questa misura abbia rivelato delle grandi contraddizioni, in quanto presentata come rimedio necessario per porre fine alle bande ma caratterizzata dalla mancanza di una legittimità e di una base costituzionale e soprattutto da un impatto fortemente negativo sui diritti umani di migliaia di famiglie salvadoregne. Il regime di emergenza infatti, sottolinea il report, si è trasformato in una sorta di modello di “populismo punitivo”, il quale “evidenzia la totale mancanza di umanità di fronte al dolore umano e l’irrazionalità di chi pensa che la pace si possa costruire solo calpestando i diritti”.
Almeno 153 morti: il risultato della repressione delle bande
Il regime, che ha compiuto un anno lo scorso 27 marzo, è stato accompagnato da un’intensa campagna pubblicitaria basata principalmente sulla figura del presidente Nayib Bukele, associato all’esecuzione della “guerra contra las pandillas”, guerra alle bande che dovrebbe annichilire queste strutture e diminuire gli omicidi ma che al contrario, se analizziamo aspetti come le trattative con le bande, la mancanza di informazioni per i familiari dei detenuti, gli arresti effettuati senza essere preceduti da alcuna investigazione o autorizzazione, la segretezza, l’occultamento delle cifre riguardanti gli omicidi e le estorsioni, diventa chiaro che tale scenario non riflette assolutamente la promessa del governo di modello di successo per combattere la criminalità. All’interno del report, “Cristosal” ha affermato che almeno 153 persone sono morte in custodia dopo essere state arrestate come parte dell’offensiva contro le famose “pandillas” del presidente Bukele. Di queste 153 morti, 29 sono il risultato di morti violente, 46 sono considerate sospette e nei restanti 75 casi le vittime mostrano segni di tortura, strangolamento o percosse. Inoltre, nonostante siano stati classificati come morti “non determinate” o “naturali”, anche le altre vittime mostravano gli stessi segni di violenza, il che evidenzia come il numero reale delle morti in custodia potrebbe essere molto più alto.
Una pratica sistematica piuttosto che un’eccezione
A partire da marzo 2022 il governo di Nayib Bukele ha arrestato più di 68,000 persone durante l’offensiva contro le gang, nonostante nessuno sappia quanti di questi individui siano realmente esponenti delle maras. Di essi, infatti, più di 5,000 sono stati successivamente liberati in quanto non vi era alcune prova che fossero legati a strutture criminali. Nonostante questo, Bukele continua a mantenere livelli molto alti di approvazione pubblica in El Salvador per le sue azioni contro le bande, soprattutto grazie alla pesante propaganda fatta in favore di questo governo. Allo stesso tempo, i gruppi per i diritti umani ed altri governi stranieri, i quali hanno condannato queste misure e ne hanno chiesto la revoca anche perché presentate inizialmente come “temporali”, vengono accusati di essere difensori delle gang e “terroristi”. Di temporale, infatti, osservando i dati ed ascoltando le testimonianze dei diretti interessati, sembra esserci ben poco. Come ha dichiarato infatti il direttore del gruppo dei diritti umani “Cristosal”, Noah Bullock, i risultati evidenziano che la violazione dei diritti umani sia “una pratica sistematica piuttosto che un’eccezione” sotto il governo attuale di El Salvador.
La delusione e il senso di colpa del popolo
I dati presenti all’interno del report di “Cristosal” sono stati raccolti attraverso un processo di lavoro sul campo che ha previsto anche analisi di fosse comuni e raccolta di documenti di analisi mediche. “Cristosal” ha dichiarato di aver ottenuto fotografie e rapporti mortuari che presentano corpi con evidenti segni di “asfissia, fratture ossee, lividi molto visibili, lacerazioni e persino perforazioni”. Molti inoltre sembrano essere morti per malnutrizione e per deliberata mancanza di assistenza medica e, aspetto ancor più preoccupante, “Cristosal” ha puntato la luce su come alcuni prigionieri siano stati evidentemente torturati con scosse elettriche. Inoltre, di particolare importanza sono state le testimonianze delle famiglie delle vittime, delle quali circa la metà sono uomini di età compresa tra i 18 e i 38 anni, insieme ai racconti di coloro che sono stati arrestati e successivamente rilasciati. Dalle testimonianze delle persone vicine ai detenuti, emerge soprattutto un profondo sentimento di delusione nei confronti di Nayib Bukele e senso di colpa per essersi fidati di lui ed aver contribuito alla sua salita al governo. Un esempio ne è Sandra García, moglie di Juan José Ibáñez García, ventunenne morto lo scorso maggio dopo essere stato arrestato, la quale, ammettendo di aver contribuito ad eleggere Bukele nel 2019, ha affermato: “Avevamo così tanti sogni… essere genitori, costruire un’azienda insieme, studiare insieme… e tutto è svanito. Molti salvadoregni hanno riposto la loro fiducia in Bukele e siamo stati ingannati“.
Simone Acquaviva