Nuova luce sul caso della nave Iuventa: l’equipaggio pochi giorni fa ha sporto denuncia contro la Procura di Trapani
L’equipaggio della nave Iuventa torna a farsi sentire
L’ultimo atto, in ordine cronologico, che riguarda il caso della nave Iuventa, ha avuto luogo o scorso 13 febbraio. L’equipaggio della nave ha infatti denunciato la Procura della Repubblica di Trapani per l’incuria riservata all’imbarcazione. La situazione della nave era stata al centro di un’ispezione avvenuta ad ottobre 2022 da parte del G.I.P. (Giudice per le Indagini Preliminari) di Trapani. Dalla relazione stilata dal funzionario emerge uno stato di completo degrado ed abbandono, di cui è responsabile proprio la Capitaneria di Porto. Secondo la legge italiana, infatti, una volta che un mezzo – di qualsiasi tipo – viene sequestrato, la custodia e la manutenzione sono compiti dello Stato. Dalla relazione stilata dal G.I.P. emerge una così situazione di negligenza: non si rilevano manutenzioni dal 2017 (anno del sequestro). La situazione è andata peggiorando poi dalla primavera 2021, quando la nave è stata trasferita fuori dall’area sicura del porto di Trapani.
Nonostante le numerose denunce delle condizioni in cui versava la Iuventa, la Procura di Trapani non ha messo in campo nessuna misura per tutelarla. Sono state infatti accertate numerose effrazioni dell’imbarcazione, da cui sono stati inoltre sottratte alcune parti e danneggiate altre. A rincarare la dose contro le omissioni dello Stato, le parole dall’avvocato della Iuventa, Nicola Canestrini:
L’omessa custodia secondo la legge italiana è reato. Ci attendiamo un’indagine approfondita che stabilisca se e chi non ha adempiuto al proprio dovere di preservare la perfetta funzionalità della nave di soccorso sequestrata dalle autorità, ormai in stato di completo abbandono
Il sequestro del 2017
Le vicissitudini della nave Iuventa iniziano quasi 5 anni fa, il 2 agosto 2017: in questa data, il G.I.P. Emanuele Cersosimo ordinò il sequestro preventivo. Nel pomeriggio la nave venne intercettata al porto di Lampedusa e al comandante della nave fu chiesto di sottoporsi a dei controlli. Insieme all’imbarcazione, vennero sequestrati anche tutti i beni al suo interno e fu ordinata la custodia in acque italiane, a Trapani appunto. L’accusa contro l’equipaggio fu quella di favoreggiamento di ingressi illegali sul territorio italiano, aggravato dal numero di persone – almeno 3 – in concorso tra loro. In sostanza, quello che lo Stato italiano imputò all’equipaggio della Iuventa – e che imputa ancora oggi a navi di soccorso marittimo – è una qualche collaborazione con le milizie libiche. Secondo la Procura ci sarebbero stati anche “passaggi diretti” di migrati da navi dei trafficanti a quella della ONG tedesca Jugend Rettet, per cui opera Iuventa.
La condanna fu spietata, tanto che non tenne nemmeno in considerazione le – almeno possibili – motivazioni umanitarie, nel decreto si legge infatti:
Le motivazioni umanitarie che hanno indotto il personale delle ONG ad agire in modo illecito non possono, comunque, costituire la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere e comunque non sono idonee a elidere la rilevanza penalistica delle condotte indicate nel capo di incolpazione.
Il sequestro venne poi confermato il 24 aprile 2018.
Le vite salvate
In questo mare magnum di accuse, sequestri, ispezioni e denunce, si perde sempre un elemento fondamentale, forse l’unico davvero importate. In sostanza, le oltre 30.000 pagine di rapporto accusano i 10 imputati per il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo. Secondo le stime, infatti, gli indagati hanno tratto in salvo oltre 14.000 persone che senza di loro – quasi certamente – avrebbero trovato la morte in mare. Davanti al giudice sono infatti finiti volontari (tra cui vigili del fuoco, paramedici, studenti e altri) che avevano come unico desiderio quello di evitare ulteriori tragedie.
Le accuse di collaborazione con i trafficanti libici, presentate in quasi tutti i processi contro le ONG, sono l’ennesimo esempio di criminalizzazione delle operazioni di soccorso. Farsi smuovere dalle immagini che quotidianamente vediamo di persone che si imbarcano in un viaggio disperato, fino ad arrivare a rischiare la propria libertà, è da anni considerato reato. Poco importa – come dice il capitano della nave Iuventa – che tutte le operazioni furono svolte in collaborazione con le autorità italiane. Normali cittadini e cittadine che cercano di arginare le scelte inumane del governo (non importa quale) che non agisce per mettere un freno alle morti mediterranee, vengono presentati come i nemici più pericolosi per lo Stato.
Una situazione ancora in stallo
Dei 10 imputati iniziali, 4 rischiano ancora il carcere e tra questi c’è Dariush Beigui, capitano della nave Iuventa. Quest’ultimo, nello specifico, è accusato come gli altri di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare” e rischia fino a 20 anni di carcere. Le udienze, però, sono state caratterizzate da falle procedurali, come l’assenza di traduzioni adeguate, fondamentali per gli imputati di madrelingua tedesca. Questi vizi sono fortunatamente stati riconosciuti dal giudice, che, il 19 dicembre 2022, ha ordinato una perizia degli interrogatori precedenti. Per i 4 volontari, quindi, il destino è ancora incerto.
Dall’altra parte, però, si è condannata l’incuria dello Stato – in particolare delle Autorità portuali della Procura di Trapani. Nello specifico, l’8 dicembre il G.I.P. ha ordinato la riparazione e la manutenzione della nave a carico delle autorità statali.