Il Natale è alle porte e le vetrine sono pronte per i nostri pazzi consumi. Ma, come ogni anni, c’è chi invoca la spiritualità delle feste.
Sulla tematica del Natale sono state spese tante parole: dall’ipocrisia di una festività non sentita alle spese in occasione della riapertura dei negozi. In questo contesto, la fede e gli acquisti s’intrecciano e portano avanti la tradizione di un anno non troppo fortunato.
Jonathan Bazzi: “È stato deciso che per molti nonni saranno le ultime feste”
L’autore di Febbre, Jonathan Bazzi, esprime la sua idea con poche parole: “È stato deciso che per molti nonni, genitori e zii saranno le ultime feste”. All’interno di questa frase ricorrono due dogmi assoluti: quello del Natale tradizionale e quello del consumo. L’uno indispensabile per la serenità dei tanti credenti formali e l’altro per l’economia, che deve permettere che “si vada avanti”.
Nelle parole di Bazzi sul Natale si legge fastidio verso la fede, ma quello che si può ancor meglio notare è il disprezzo dichiarato per chi, nascondendosi dietro il bisogno di spiritualità, ha un’assoluta necessità di comprare. Insomma, per chi predica la fede nel consumismo.
Il consumismo di Natale inizia da Amazon
È proprio il colosso dell’e-commerce Amazon che dichiara la fede consumistica come unico credo. Infatti, se le strade di Roma, Milano e altri grandi centri italiani, sono stracolme di acquirenti, Amazon non ha mai smesso di vendere regali di Natale. Da mesi s’imballano centinaia di migliaia di pacchi e un articolo dell’Observer fa notare che in un solo magazzino di Amazon in Galles, il due dicembre, il giorno in cui si fanno più acquisti, vengono imballati 450mila articoli. All’interno di questo inferno, lavorano persone sottopagate. Gli operai soddisfano gli imbarazzanti desideri di chi colma il proprio vuoto di spiritualità con alcuni inutili oggetti che tra pochi giorni giaceranno in un cassetto.
Il commercio digitale di Amazon crea certamente un’economia continuativa e, almeno per i compratori, è garantito il distanziamento sociale. Questo tipo di consumi contribuisce, però, a creare un profondo divario sociale che si riversa sui lavoratori. Essi vivono tra straordinari extra obbligatori e la politica del “se ti ammali ti licenzio”.
Quell’appello di Conte alla spiritualità
Quasi un mese fa, il Primo ministro Conte ha dichiarato che la “spiritualità viene meglio quando la si vive in pochi”. Nonostante questo e seppur, per quanto ne sappiamo, ci troviamo ancora in un Paese laico e multi-religioso, sembra che l’Italia e alcuni italiani abbiano cambiato punto di vista. Infatti, i credenti dell’ultima ora sanno che: “a Natale c’è bisogno di affetto”, non di spiritualità. Sembra poi che quest’affetto si possa trovare solo nelle strade illuminate e nei negozi affollati.
Perciò sarà così, no? Ci stiperemo intorno a un tavolo per bisogno di affetto, privati di una reale spiritualità (che, comunque, non si deve possedere per legge), a scambiarci doni comprati per dimostrarci quanto ci vogliamo bene.
Siamo, quindi, dimentichi di quell’amore per il prossimo, in nome del quale, serenamente, ci sarebbe permesso di non scambiarci troppi inutili pacchetti. Dotati di una buona dose di rispetto, non ci sentiremmo in obbligo di andare a trovare genitori, zii e nonni, curandocene solo per un giorno.
La fede del consumismo è, in definitiva, un occhio opaco, un po’ cinico, che ci rende stabili nelle nostre convinzioni, ma non consente ad altri, che diciamo di amare, di poter vivere ancora tanti altri giorni di Natale.
Antonia Ferri