Nashville, 27 marzo 2023, Covenant school, 7 morti: 3 bambini, la preside, un’insegnante, un inserviente e Audrey Elizabeth Hale: 28 anni, killer. È l’ennesima strage negli Stati Uniti
L’assalto alla scuola
La dinamica dell’aggressione è ormai chiara: Hale fa irruzione nella sua vecchia scuola con due fucili e una pistola, sale al secondo piano dell’edificio e apre il fuoco. All’arrivo dei soccorsi oppone resistenza e rimane a terra a sua volta. Nel giro di “soli” 14 minuti si compie l’ennesima strage negli Stati Uniti. L’ennesima strage in una scuola.
È un colpo programmato: nella sua abitazione vengono ritrovate altre armi e tracce dell’organizzazione. Dalle testimonianze di chi conosceva Hale, è emerso che ci fosse del risentimento per aver frequentato una scuola cristiana. Ma per formulare ipotesi plausibili sul movente ci vorrà del tempo.
E, peraltro, non è nemmeno il dato più allarmante. Quello che è sconvolge sono i numeri. Il Gun Violence Archive parla chiaro. È un’organizzazione che raccoglie tutti i dati inerenti alle armi da fuoco negli Stati Uniti: quante sparatorie, quanti omicidi, quanti suicidi, quanti morti, quanti feriti. Insomma, quanti danni provocano le armi da fuoco negli USA.
I dati dal primo gennaio 2023
- 130 sparatorie di massa (con 4 o più vittime escluso l’aggressore)
- 4.289 vittime di cui 61 bambini e 351 adolescenti (12-17 anni)
- 394 milioni di armi in tutti gli USA
- 330 milioni di abitanti negli USA
- 120 pistole ogni 100 abitanti
- 42% le famiglie statunitensi che possiedono almeno un’arma
- 691: il numero più alto di sparatorie di massa in un anno negli USA, risale al 2021.
Sono cifre che non hanno bisogno di commenti.
Negli stati uniti ci sono più armi che anime e poi ci si stupisce delle 2 stragi di media al giorno. I profili dei killer sono variegati ma c’è un tipo più comune: uomo, under 30, ex studente che attacca la sua vecchia scuola con armi d’assalto. Ovviamente non è sempre così. Ovviamente ogni strage negli Stati Uniti non fa notizia allo stesso modo. Ormai c’è un discreto grado di assuefazione che avvolge la tematica delle armi negli USA.
Le stragi che fanno più scalpore sono quelle che avvengono nelle scuole dove le vittime (bambini o adolescenti) sono per definizione innocenti. E quindi eccoci qui che periodicamente riemergono temi come il secondo emendamento, la lobby delle armi, la sicurezza, “i nostri bambini meritano di più” (Jill Biden), tristezza, lutto e senso di colpa per non aver fatto abbastanza, bandiere a mezz’asta (come se potessero sensibilizzare le coscienze dei futuri assassini). E poi, mentre il flusso delle notizie torna a focalizzarsi sui temi classici come l’andamento della borsa o il gossip, da qualche parte, una persona entra in un’armeria e compra un fucile automatico, va in un supermercato e compra proiettili e munizioni (con la stessa facilità con cui noi ingenui cittadini italiani compriamo gli spaghetti), e si mette a programmare la prossima strage negli Stati Uniti.
Le armi: una strage negli Stati Uniti
È estremamente semplice poter comprare armi da fuoco in USA. Non servono autorizzazioni particolarmente complesse da ottenere e le armi automatiche sono estremamente facili da utilizzare: non è necessario essere cecchini per poter essere letali.
Inoltre, il possesso di armi ad uso privato è garantito e legittimato dal famoso secondo emendamento:
Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto
In sostanza, ogni cittadino deve potersi difendere e, quindi, è lecito che ognuno possegga un’arma. Poi se questo qualcuno sia psicologicamente instabile o particolarmente incline alla violenza è relativamente importante. Ciò che conta è che ogni cittadino abbia il sacrosanto diritto a difendersi. Sì, appunto. Difesa. Entrare in una scuola e sparare non è difesa. È attacco. E su questo non si discute.
Uno scenario grottesco
Secondo questa logica è facile immaginare uno scenario grottesco: dovrebbero essere i bambini a possedere armi per difendersi da attentatori senza scrupoli che li attaccano mentre stanno imparando a leggere e scrivere. Così su ogni banco potremmo vedere, oltre a un quaderno, un libro, un astuccio e un diario per annotare compiti e comunicazioni, una pistola. Una di quelle piccole, ovviamente, come si conviene a un bambino, e soprattutto deve stare lì in bella vista, nell’angolo in alto a destra del banco, in modo tale che l’insegnante (che nasconde un’arma nella fondina che porta in vita e un’altra nello stivale) possa vigilare sui suoi studenti affinché nessuno si faccia male.
Ma, ci siamo così lontani?
È notizia del 6 gennaio scorso: un bambino va a scuola. Nello zaino, vai a sapere perché, al posto della merenda ha la pistola della madre. La tira fuori come fosse un trenino giocattolo e preme il grilletto. Ferisce gravemente la sua insegnante davanti agli occhi scioccati dei suoi compagni. Aveva 6 anni e un’arma in mano.
Stessa scuola, 23 febbraio, un altro bambino esorta via chat i suoi compagni a “far saltare qualche proiettile e sparare contro la classe”. Il messaggio viene segnalato da un suo coetaneo ai genitori che hanno subito allertato la preside della scuola. Nessun morto, nessun ferito, nessuna strage. Ma fa riflettere.
Gli americani hanno un problema con le armi.
Sono entrati in circolo vizioso ed è sempre più difficile uscirne. Quasi il 50% dei cittadini statunitensi reputa le armi un grande problema al pari dell’immigrazione illegale, dei crimini violenti e del coronavirus. Eppure, paradossalmente, per sentirsi più sicuri, i cittadini comprano più armi pensando che aumentare il numero di armi in circolazione sia il miglior modo per diminuire la violenza. Quando le evidenze mostrano esattamente il contrario.
Le parole di Biden si stanno rivelando inconsistenti. La sua richiesta accorata era quella di imporre regole più stringenti almeno per il possesso delle armi d’assalto (quelle automatiche. Le più utilizzate nelle stragi proprio perché più semplici da utilizzare e decisamente più performanti in tema di morte). Una richiesta decisamente condivisibile. Perché mai, io, cittadino comune di un Paese in pace (quantomeno in casa) dovrei tenere nella rastrelliera del garage, oltre alle biciclette, anche un paio di kalashnikov? Eppure possedere un’arma per gli statunitensi è un diritto intoccabile quasi al pari del diritto di voto e quello di espressione.
Inoltre, gli interessi economici che stanno dietro la produzione e la vendita di armi sono immensi e l’influenza che genera la Nationale Rifle Association (NRA) è ancora più immensa. Fondata nel 1871, inizialmente era una semplice associazione sportiva e venatoria, ma oggi è parte integrante della politica statunitense. Ed è talmente importante da incidere enormemente anche sull’elezione del Presidente. Regan, nel 1981, è stato il primo ad essere eletto con l’esplicito appoggio della NRA. Obama, invece, non ha potuto prendere seri provvedimenti in fatto di armi proprio a causa dell’associazione che, seppur ufficialmente apolitica, ammicca a un elettorato di repubblicani conservatori evidentemente nostalgici del Vecchio West.
Le armi nel mondo
Nel resto del mondo le cose non vanno poi tanto meglio. La differenza è che il culto delle armi non permea così a fondo la popolazione civile ma resta appannaggio di istituzioni ed esercito.
Non è un segreto che i membri NATO abbiano sottoscritto accordi per destinare il 2% del proprio PIL alle armi. Quasi nessuno, però, lo ha mai raggiunto. Ma dal 2022, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, c’è stata una svolta netta:
- Germania: 100 miliardi di euro per modernizzare la Bundeswehr (oltre ai soliti 50 miliardi)
- Francia: 413 miliardi spalmati tra il 2024 e il 2030 (vs i 295 mld tra il 2029 e il 2025)
- Polonia: 4% del PIL nazionale destinato alla spesa militare (con la ovvia partecipazione degli USA che venderebbero a Varsavia molte armi)
- Giappone: pur non facendo parte della NATO, ha deciso di destinare 2% del PIL nazionale per la spesa militare. E, così facendo, diventerà il terzo protagonista per spese militari dopo USA e Cina.
Molti altri Stati stanno correndo al riarmo: Italia, Australia, Nuova Zelanda, Cina, Paesi dell’America Latina. Chiedere la pace sembra stia passando di moda. E forse Vegezio, nel 4° secolo, non ci aveva visto male: si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra).
È un fatto inquietante, è come se il mondo intero si stesse preparando a una catastrofe imminente che sentiamo montare giorno dopo giorno ma che non riusciamo a vedere né, tanto meno, a controllare.
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