Si trova alle pendici dell’Etna, in provincia di Catania, la cooperativa agricola Afrisicilia, un piccolo passo per allontanarsi dal lavoro illegale
Il progetto Afrisicilia è una boccata d’aria fresca
In una terra, la Sicilia, meravigliosa ma complicata, è sorto un luogo sicuro, un’iniziativa di inclusione e cooperazione. Pochi giorni fa è stata annunciata la nascita di una cooperativa agricola interamente gestita da migranti – Afrisicilia – a termine di un progetto iniziato a marzo 2022. I migranti coinvolti hanno infatti acquisito tecniche, conoscenza delle normative del settore e – soprattutto – consapevolezza rispetto ai diritti sul lavoro.
Hanno quindi scelto la via della legalità, grazie al progetto P.I.U. Su.Pr.Eme (Percorsi Individualizzati di Uscita dallo Sfruttamento), patrocinato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La collaborazione tra i migranti e i partner coinvolti nel progetto ha permesso quindi la realizzazione di uno dei sette progetti di agricoltura sociale. Afrisicilia rappresenta così la concretizzazione, la prova di come sia possibile uscire dalla prospettiva dello sfruttamento lavorativo. La proposta è stata subito accolta positivamente dalla dirigente dell’ex ufficio speciale Immigrazione dell’assessorato regionale al Lavoro e alla Famiglia, Michela Bongiorno. L’orto sociale, secondo la politica, non è solo una risposta concreta al fenomeno del caporalato, ma anche un’occasione di scambio e arricchimento.
Il circolo vizioso del fenomeno migratorio
Quando si parla di migranti, però, siamo abituati ad uno scenario molto diverso.
A partire dalle politiche migratorie, manchevoli e incapaci di prendere decisioni strutturali per evitare disastri in mare – come l’ultima tragedia avvenuta a Cutro. Per passare ai meccanismi che dovrebbero regolare l’accoglienza e il collocamento dei migranti, dilatati anche dalle decisioni del governo attuale circa l’attracco delle navi ONG. Si ricordi ad esempio il caso recente della nave costretta a raggiungere il porto de La Spezia: i migranti vennero mandati a Foggia in autobus. Una volta raggiunta la città di assegnazione, la vita di queste persone continua ad essere appesa ai tempi della burocrazia: non hanno dove andare in Italia, ma non possono uscire dal Paese.
Molti di questi migranti, impossibilitati in ogni altri spostamento, si trovano quindi costretti ad accettare lavori al limite (se non nel pieno) dello sfruttamento. Diffuso tanto al Sud quando al Nord, il lavoro nero è una caratteristica di tutta la penisola, ma per queste persone rappresenta l’unica opzione possibile.
Il fenomeno del caporalato
Arrivati in Italia, quindi, l’obiettivo di queste persone non è – come parte dell’opinione pubblica crede – “rubare il lavoro agli italiani”. Queste persone, le cui famiglie spesso sono rimaste nei Paesi d’origine, cercano un appiglio, un modo per migliorare le proprie condizioni. Conoscendo questa loro situazione, sono nate molte organizzazioni – se così si possono chiamare – “specializzate” nello sfruttamento di migranti. Si viene così a creare il fenomeno del caporalato, che fornisce un lavoro sottopagato a persone spesso non qualificate. Uno dei settori più colpiti da questo fenomeno illegale è quello dell’agricoltura.
Secondo stime ufficiali dell’ISTAT i migranti coinvolti nel settore agricolo sarebbero il 18% del totale, di cui un’importante fetta sotto il giogo del caporalato. Riconosciuto come fenomeno pericoloso (in generale) e come ostacolo al raggiungimento di una condizione dignitosa (per i migranti in particolare), lo Stato ha preso contromisure. A dicembre 2017 è nato il “Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura”.
Si tratta di un modo – seppur non definitivo – per contrastare lo sfruttamento di essere umani, un segnale che dimostra che lo Stato sta coi migranti. Sono iniziative fondamentali, ma che si rafforzano anche grazie ad iniziative “dal basso”, come, appunto, il progetto di Afrisicilia.