A uscire più rinvigorito dal G20 di quest’anno è stato il presidente dell’India, Narendra Modi, che ha preso il ruolo di mediatore internazionale tra due poli contrapposti.
Narendra Modi al G20 di Bali
Le 48 ore del forum saranno ricordate per l’incontro di 3 ore tra il Presidente statunitense Joe Biden e il Presidente cinese Xi Jinping, o, ancora più probabilmente, per la notizia, rivelatasi poi errata, di missili russi atterrati in Polonia, con terza guerra mondiale al seguito.
Tra le pieghe delle pagine dei vari summit e incontri bilaterali però, molti analisti hanno letto un ruolo di sempre maggior importanza di Narendra Modi nel contesto internazionale.
Gli incontri bilaterali sono stati molti, tra i quali anche quello con la Presidente italiana Giorgia Meloni che ha promesso collaborazione con la Presidenza indiana. Il più significativo è stato quello con Rishi Sunak, neo Primo ministro britannico. Sunak è infatti il primo capo di governo britannico con radici indiane, e il primo di religione induista.
L’ambiguità sulla guerra russo-ucraina
L’evento che ha definito il contesto geopolitico di questo G20 è però stata l’invasione russa dell’Ucraina. L’india sta portando avanti una politica di ambiguità della propria posizione sul conflitto.
Denuncia i problemi derivanti dalla guerra, che colpisce soprattutto i paesi in via di sviluppo. Nuova Delhi non è mai arrivata a criticare direttamente Putin per il conflitto, come se una guerra nascesse dal nulla.
La posizione di Modi assomiglia molto a quella cinese. La differenza sta nella posizione ai blocchi di partenza delle due potenze. Se la Cina ha interessi contrapposti a quelli occidentali e vuole guidare un polo politico opposto a quello americano, l’India rappresenta un alleato fondamentale dell’Occidente nella regione.
È una sorta di “cuscinetto” di 1.4 miliardi di persone, posto tra le democrazie occidentali e i regimi autocratici. L’India è di fatto ancora una democrazia, nonostante la classe dirigente stia applicando delle condotte che virano all’autocrazia. In particolare, il governo sta limitando molto la libertà di stampa e quella di associazione nel paese.
L’era di oggi non può essere di guerra
Così Modi ammoniva Putin a settembre in un faccia a faccia tra i due. Nonostante neanche alla fine del summit di Bali si sia arrivati a una condanna del comportamento russo, il monito di Modi ha idealmente accompagnato la due giorni.
Se, come detto, l’esigenza sul piano internazionale è quella di bilanciare le proprie posizioni rispetto a attori in conflitto, sul piano interno Modi non sembra essere coerente.
Un paese induista
Dall’ascesa al potere, Modi ha deciso di andare in controtendenza rispetto a una tradizione che vedeva il Presidente essere un garante d’imparzialità e di giusto trattamento delle minoranze.
All’interno dei confini interni, il Presidente indiano si toglie la maschera da mediatore, per rivestire i panni del demagogo che divide il suo popolo.
Il suo partito, il BJP, un partito di chiara ispirazione indù-nazionalista, ha fatto della discriminazione e delle divisioni in base etnico-religiosa la sua ragion d’essere. L’obiettivo dichiarato è quello di fare dell’India uno stato indù puro e integrale, e questo passa anche dalla purificazione degli elementi contaminanti.
Le accuse di genocidio in patria
All’incirca il 15% della popolazione indiana è musulmana. Sono circa 175 milioni di persone, una comunità che sarebbe la maggioranza in quasi ogni altro paese, ma che in India è una minoranza da purificare.
Sotto il governo di Narendra Modi sono passate diverse leggi che discriminano fortemente la minoranza musulmana. E’ stata revocata l’autonomia delle regioni del Jammu e del Kashmir, regioni che avevano uno statuto speciale anche per via della loro composizione etnico-religiosa.
Nella regione del Kashmir poi, l’India avrebbe posizionato 600.000 truppe che si macchiano di arresti, stupri e uccisioni, di cui vittima è la popolazione locale. Questi dati sono stati riportati da Genocide Watch, una ONG che studia i casi di “genocidio” nel mondo, e tenta di mettere in luce queste situazioni.
E’ inevitabile mettere tra virgolette la parola genocidio in questo caso. Infatti, per la ONG questo termine non identifica solo lo sterminio di un gruppo, ma anche le politiche messe in atto che anticipano questo evento.
Per Genocide Watch dunque, questo processo di “genocidio” sarebbe già cominciato. A sostegno della propria tesi sono state portate alcune modifiche legislative. Una di queste, il Citizenship Amendment Bill, garantisce un iter semplificato di acquisizione della cittadinanza in base alla religione. Altre invece, si inseriscono nel novero delle leggi anti-conversione, mirate a rendere illegale la conversione di indù all’Islam.
La società indiana, tradizionalmente divisa, aizzata dalla propria classe politica, si ritrova ad essere teatro di scontri costanti. Sono all’ordine del giorno storie di linciaggio, sia fisico che mediatico, boicottaggi di attività gestite da musulmani, e di inazione delle autorità rispetto a questi eventi.
Il G20 indiano
Narendra Modi ha preso il testimone del G20 da Joko Widodo. Il Presidente indiano proverà ad usare la vetrina del G20 del 2023 per mettersi in buona luce in vista delle elezioni del 2024.
La stampa indiana, o almeno ciò che ne è rimasto, ha già elogiato il lavoro di Modi sullo scacchiere internazionale. Tutto lascia immaginare che la stessa partita, giocata in casa, porterà allo stesso risultato.