Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Mentre Modi guida il Paese, si profila una crescente supremazia indù, inquietante preludio a una destabilizzazione sociale sempre più imminente. In questo contesto, la connessione tra Narendra Modi e il fondamentalismo indù emerge in modo sempre più chiaro, gettando un’ombra sul futuro dell’India.
Narendra Modi prosegue senza esitazioni nella sua politica a favore della maggioranza indù e contro le altre religioni presenti nella Federazione indiana. Ieri ha inaugurato un grande tempio dedicato a Rama, una delle divinità più importanti del pantheon indiano.
Il fatto è che il suddetto tempio sorge sulle ceneri di una grande moschea distrutta da fanatici indù nel 1992, e mai più ricostruita. Il nuovo tempio si trova nella cittadina di Ayodhya nell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India.
Alla cerimonia non hanno partecipato i rappresentanti dell’opposizione laica in Parlamento, molto debole e incapace di contrastare la politica fondamentalista di Modi.
Si tratta di un’ulteriore e chiarissima sfida alla numerosa minoranza musulmana che vive in India, già vessata dal premier e sempre più inquieta. Gli islamici non riescono a reagire alle politiche discriminatorie messe in atto dal partito induista di Modi, anche se il fuoco cova sotto le ceneri.
Lo stesso Narendra Modi ha guidato la cerimonia davanti alla statua del dio indù, quasi fosse un guru, e lasciando capire di considerarsi, ancor prima che uno statista, un leader religioso a tutti gli effetti.
L’inaugurazione indica, quindi, che nell’India di Modi i confini tra politica e religione sono pressoché aboliti. Una svolta epocale rispetto alla tolleranza religiosa praticata dai fondatori Gandhi e Nehru.
Si noti che la distruzione della moschea aveva causato, nel 1992, scontri gravissimi tra indù e musulmani, con circa duemila morti. Una replica, per quanto meno grave, dei massacri che si verificarono nel 1947, dopo la separazione tra India e Pakistan che fece seguito alla fine del dominio coloniale britannico nel subcontinente indiano.
Narendra Modi e il fondamentalismo indù nelle prospettive future
Modi e i suoi seguaci intendono fare di Ayodhya una sorta di “Vaticano indù”, rendendo la cittadina un luogo sacro per la maggioranza induista. Tutto questo è stato reso possibile da una sentenza, emanata nel 2019, dalla Corte Suprema di New Delhi, che ha attribuito il sito agli indù nonostante le vibrate proteste dei musulmani.
Il Paese, sotto la guida di Narendra Modi, si sta insomma avviando verso uno stato di guerra civile e religiosa strisciante. Fatto che non sembra affatto preoccupare il Partito induista al potere, più che mai intenzionato a promuovere la supremazia indù in ogni ambito della vita civile.
Occorre anche notare che, ogni volta che i partiti religiosi fondamentalisti vanno al potere, sorgono enormi problemi. L’India non è infatti un caso isolato. I guai causati in molti Paesi dal fondamentalismo islamico sono noti. Ma esiste pure un fondamentalismo religioso ebraico, che la crisi di Gaza ha messo in luce.