Narcos 2: tra documentario e realismo magico

Sicuramente una delle serie più conosciute e apprezzate degli ultimi anni, Narcos è il prodotto di punta di Netflix in Italia. L’intera seconda stagione è stata pubblicata sulla piattaforma streaming (in contemporanea con gli USA) il 2 settembre. Ancora una volta gli autori hanno messo in scena un racconto che stupisce sotto molti punti di vista.

Le vicende storiche

Conosciuta come la serie su Pablo Escobar, Narcos, in verità, è molto di più. È uno spaccato storico di una delle più cruciali e drammatiche vicende del secolo scorso: la guerra al narcotraffico.

La Colombia negli ottanta era la più grande produttrice ed esportatrice di cocaina al mondo. Gli USA, invece, erano i più grandi importatori. Miami, in particolare, ne era il fulcro economico. Le montagne di polvere bianca che vediamo in Scarface di Brian De Palma, in pratica, provengono dai laboratori colombiani. E la ricchezza di Tony Montana (Al Pacino) deriva da quella di Pablo Escobar.

Il famoso narcotrafficante di Medellin gestiva proprio i traffici con Miami. Una tratta estremamente prolifica che lo fece diventare il settimo uomo più ricco al mondo.
Pur di mantenere il suo potere Escobar utilizzava metodi poco ortodossi: corrompendo, minacciando, uccidendo. In parallelo si faceva ben volere dal popolo con generose donazioni e atti di filantropia.

Il governo americano non poteva accettare questa situazione e cercò in prima persona di smantellare l’apparentemente inarrestabile cartello di Medellin.
Le prime due stagioni di Narcos raccontano questa guerra che provocò decine di migliaia di morti tra poliziotti, narcotrafficanti e civili. La narrazione oscilla tra i poliziotti americani della DEA che collaborano col governo colombiano e gli uomini di Escobar.

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fonte: EMP blog

Lo stile di Narcos e il realismo magico

Ciò che colpisce fin da subito di questa serie è lo stile quasi documentaristico che la caratterizza. Seppure ci siano molti elementi romanzati, l’intento è quello di entrare nella storia con una pretesa di realismo. O meglio, come dichiarano gli stessi autori, con un “realismo magico”, quello stile letterario nato in Colombia che veste la realtà di elementi fuori dall’ordinario.

La veridicità dei fatti viene intensificata da diversi fattori. La voce narrante intradiegetica che contestualizza continuamente il racconto (come in un vero documentario), l’uso delle lingue originali (inglese per gli americani, spagnolo per i colombiani) con i dovuti sottotitoli e, soprattutto, l’inserimento di immagini di repertorio che si alternano a quelle reali. I veri volti di Pablo Escobar e dei poliziotti che lo cacciano si alternano a quelli degli attori che li interpretano senza paura di provocare straniamento. Anzi con l’intento chiaro di estremizzare il senso di angoscia provocato dalle numerose sequenze di violenza e morte. Momenti così forti da restituire quel senso di assurdità del male che entra in conflitto con la consapevolezza che tutto sia reale.

La follia omicida esplosa in Colombia in quegli anni viene, così, messa in scena con un’efficacia fuori dal comune. Neanche Gomorra raggiunge questi livelli di macabro realismo. Perché qui ancor di più ci si rende conto di quanto tutto (l’odio, la morte, la guerra) sia ciclico e inarrestabile.

La seconda stagione: oltre Pablo Escobar

Questa seconda stagione ruota ancora di più attorno alla figura di Escobar, interpretato da Wagner Moura, intenso e abile attore brasiliano. Per tutte le dieci puntate i due membri della DEA Steve Murphy (Boyd Holdbrook) e Javier Pena (Pedro Pascal) lo braccano con il supporto del presidente Gaviria (Juan Pablo Raba).

L’inevitabile tracollo del gigante del narcotraffico viene raccontato passo per passo. La crudele genialità di questo personaggio entra in conflitto con l’amore che prova per i suoi cari. Il lavoro di Moura nei panni di Escobar è talmente profondo da rendere impossibile non provare un minimo di empatia. Per quanto siano aberranti i crimini commessi, don Pablo resta un uomo come gli altri. Un uomo da temere ma anche da compatire.

Seppure la figura di questo emblematico personaggio, con la sua personalità strabordante, abbia caratterizzato le prime due stagioni di questa serie, ricordiamo che Narcos va ben oltre. Conclusa la parabola narrativa di Escobar, il concept della serie resta intatto. La materia del racconto rimane, infatti, viva e pulsante tra le mani degli autori. Perché la storia della Colombia e della guerra per il controllo del traffico di cocaina è ancora molto lunga e piena di eventi tragici che meritano l’attenzione del pubblico.

Narcos continuerà per almeno altre due stagioni e siamo sicuri che la qualità del racconto resterà alta come nelle precedenti. La Colombia ha ancora tante storie magiche e terribili da raccontarci e noi non vediamo l’ora di ascoltarle.

articolo di Carlo D’Acquisto

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