Nei giorni scorsi una pubblicità progresso dell’AIN (Associazione Italiana Narcolettici ed Ipersonni) ha permesso a molti italiani di venire a conoscenza della narcolessia e dei suoi sintomi, una patologia spesso non riconosciuta e causa di isolamento sociale. Ma cos’è la narcolessia?
La narcolessia consiste sia in un disturbo della capacità di mantenere volontariamente lo stato di veglia, sia in un’alterazione della regolazione del sonno REM (rapid eyes movements). L’età d’insorgenza può variare dai 5 ai 50 anni; la malattia è cronica e non presenta remissioni.
Come si presenta la narcolessia?
I sintomi della narcolessia esordiscono tipicamente nella seconda decade di vita, con quella che viene classicamente definita tetrade della narcolessia” . Questa è caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna associata a tre sintomi specifici che compaiono nel periodo di transizione fra veglia e sonno:
- cataplessia , ovvero comparsa di improvvisa debolezza o perdita del tono muscolare senza perdita di conoscenza, fenomeno spesso suscitato da un’emozione (risata, sesso, sforzo fisico, ecc);
- allucinazioni al momento dell’addormentamento (allucinazioni ipnagogiche) o del risveglio (allucinazioni ipnopompiche);
- paralisi del sonno, ovvero paralisi muscolare al risveglio.
La gravità della cataplessia è variabile: si possono avere due o tre attacchi al giorno oppure due o tre attacchi in 10 anni. È inoltre possibile che alcuni narcolettici non mostrino alcun segno di cataplessia. L’entità e la durata di un attacco cataplettico possono variare da un abbassamento transitorio della mandibola della durata di qualche secondo a rari casi di paralisi di tutta la muscolatura volontaria per 20-30 minuti.
Come si può diagnosticare la narcolessia?
L’approccio ad un soggetto narcolettico è multidisciplinare (endocrinologi, pediatri, pneumologi, neurologi, ect…), essendo il sonno una funzione finemente regolata da più sistemi del nostro organismo. È necessario escludere altre patologie che possono causare eccessiva sonnolenza, come l’apnea durante il sonno o la restrizione cronica del sonno.
I criteri diagnostici sono tuttora oggetto di discussione. Si stanno rivelando utili:
- MSLT (Multiple Sleep Latency Test), un test utile per misurare la velocità con la quale una persona si addormenta durante il giorno;
- il dosaggio del peptide ipocretina/orexina nel liquor cefalorachidiano, i cui livelli risultano incredibilmente ridotti nei soggetti narcolettici;
- test genetici: molti casi di narcolessia sono associate a mutazione degli alleli del sistema HLA (DQ B1 in particolare);
- polisonnografia e polisonnografia dinamica: insieme di test che permettono di valutare il sonno in tutte le sue caratteristiche (movimenti oculari, attività cerebrale, attività cardiaca, saturimetria…);
- diari del sonno e questionari che permettono di stimare le abitudini di sonno.
L’Associazione Italiana Narcolettici e Ipersonni (AIN) mette a disposizione sul proprio sito narcolessia.org dei test di autovalutazione utili per la diagnosi di narcolessia.
Qual è la terapia adatta in caso di narcolessia?
La terapia della narcolessia è sintomatica. La sonnolenza viene trattata con agenti che favoriscono lo stato di veglia:
- modafinil, farmaco di prima scelta, principalmente perché ha effetti collaterali minori rispetto agli altri stimolanti e presenta una lunga emivita;
- metilfenilidato o la destroamfetamina sono ancora usati in alternativa al modafìnil, soprattutto nei pazienti refrattari.
Questi ultimi farmaci sono oggigiorno disponibili in formulazioni a lento rilascio, consentendo così un’unica somministrazione giornaliera.
Il trattamento dei fenomeni REM-correlati, cioè cataplessia, allucinazioni ipnagogiche e paralisi da sonno, richiede una potente soppressione del sonno REM. Questa è ottenibile con farmaci antidepressivi triciclici come la protriptilina e la clomipramina , nonché gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) come la fluoxetina. In alternativa si può utilizzare il gamma-idrossi-butirrato, il quale somministrato al momento di coricarsi e 4 ore dopo, è efficace nel ridurre gli episodi catalettici durante la giornata.
Per prevenire la narcolessia è utile ottenere un adeguato periodo di sonno notturno e la pianificazione di sonnellini diurni.
Fonti: Harrison’s Principles of Internal Medicine
Marco Giglia