Hermann Hesse ci presenta due diversi impulsi vitali, due ragioni d’essere, due visioni del mondo che si scontrano e arricchiscono l’una con l’altra: l’apollineo e il dionisiaco.
Riprendendo un concetto che Nietzsche aveva esposto ne La nascita della tragedia, l’autore tedesco scandaglia l’animo degli uomini e la condizione della loro esistenza e, fra dialoghi filosofici e dispute teologiche, descrive la vita di due personaggi antitetici: Narciso e Boccadoro.
E’ la storia della profonda e complessa amicizia che nasce fra un dotto e solitario monaco e un giovane artista passionale e vagabondo; è, in realtà, un romanzo metafora sulla condizione dualistica e conflittuale che ogni uomo serba nella propria anima.
Ma in un’amicizia del genere non può bastare l’amore e la dedizione, tanto più se non vi è piena consapevolezza del proprio essere, delle profonde differenze con l’altro: in questa percorso autoconoscitivo è l’indole introspettiva dell’asceta a guidare il fanciullo.
Se uno si chiude nel mondo spirituale, l’altro si slancia nella vita dei sensi; se il primo fonda il ragionamento su basi teoriche, il secondo lo concretizza in opere artistiche.
Solitario com’era nella sua superiorità, aveva subito sentito in Boccadoro l’anima affine, benchè sembrasse il suo opposto in tutto. Se Narciso era scuro e magro, Boccadoro era radioso e florido. Se Narciso sembrava un pensatore ed un analizzatore, Boccadoro sembrava un sognatore e un’animo da fanciullo. Ma c’era al di sopra dei contrasti qualcosa che li accomunava: entrambi erano nature superiori, entrambi si distinguevano dagli altri per doti e caratteristiche palesi, entrambi avevano ricevuto un monito articolare dal destino.
Da una parte la ricerca della bellezza classica, di un’etica misurata, della ragione pura: Narcisio, espressione dell’apollineo, rappresenta quella porzione dell’essere che segue la via della speculazione, della teoria, la ricerca del senso ultimo della natura e del divino.
Ma accanto, in modo speculare e complementare, inevitabilmente coesiste il dionisiaco: l’ebrezza, l’arte, il mondo dei sensi attirano inevitabilmente Boccadoro, il quale porta in un cuore sempre giovane e vitale lo slancio dell’estasi e della creatività.
Non è il nostro compito quello di avvicinarci, così come non si avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra méta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparar a vedere e a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.
Grazie a Narciso, Boccadoro riscopre il suo vero essere ed inizia a vagare per il mondo, facendone quanta più esperienza possibile e godendo di quanto la natura offre; un viaggio arduo e non privo di ombre verso la consapevole percezione di sè, verso la propria attuazione.
Perché nella sua giovane felicità, come nella virtù e nella saggezza di Narciso, doveva insinuarsi di quando in quando questa strana sofferenza, quest’ansia sommessa, questo rammarico per la transitorietà umana?
Il punto di svolta per Boccadoro si presenta quando egli ha modo di esprimere a pieno la sua creatività, di realizzarsi in quanto artista, di operare in un’officina e di contrastare, in questo modo, la caducità della vita: ma quanta la passione, il desiderio di esprimersi artisticamente, così la reticenza, l’insofferenza al sottoporsi alla tecnica e alle regole di una vita iterativa.
Ma è il percepire, in ogni aspetto terreno, un’intrinseca scissione che rende fiorente l’esistenza.
Che sarebbero la ragione e la temperanza senza la conoscenza dell’ebbrezza, che sarebbe il piacere dei sensi, se dietro di esso non stesse la morte (…)?
In ognuno di noi si cela un Narciso ed un Boccadoro, due anime affini e indissolubilmente legate, eppure sempre potenzialmente in conflitto.
Siamo insieme eros e logos, un’essenza vitale che può accrescersi solamente dopo aver preso coscienza di ciò che nutre questa dualità.
Coesiste in noi, secondo una proporzione unica e variabile, l’anima degli ispirati e l’anima degli spirituali: il mondo materno e il concetto di idea, l’ amore carnale e quello spirituale, il rischio di affogare nel piacere dei sensi e il timore di asfissiare nel mondo del vuoto.
Ancora una volta Hesse, dopo l’audace opera il Lupo della steppa, torna ad interrogare criticamente sulla condizione umana, sul complesso equilibrio che essa persegue: nè l’una nè l’altra sfaccettatura dell’io, infatti, racchiude il bene o il male assoluto e nessuna può sopravvivere alla soppressione dell’altra.