Su Nature è appena stato pubblicato un articolo che presenta il risultato delle ricerche di un team di scienziati capitanato da Min Hao Wong del MIT (Massachusetts Institute of Technology) nel campo della nanoingegneria e più precisamente delle nanotecnologie applicate alla bionica (è l’applicazione di metodi e sistemi biologici trovati in natura nello studio e nel design di sistemi ingegneristici e della moderna tecnologia).
Premessa: liberare terreni inquinati dai contaminanti si è rivelato essere un’impresa tutt’altro che agevole e tutt’altro che economica, si è scoperto che un modo molto efficiente di farlo è coltivarci delle piante che tramite le radici assorbiranno i contaminanti ripulendo il terreno e portandoli fino alle foglie, poi non si farà altro che togliere e smaltire la pianta, ma va sottolineato che passando gli inquinanti dalle radici che sono nascoste alla foglie le piante anche prima di essere rimosse possono funzionare da comodi indicatori della presenza di contaminanti. .
Gli scienziati stanno sviluppando sistemi che affiancano la nanoingegneria applicandola a questi processi naturali, costruendo dei sistemi bionici, per sfruttare questo processo.
Che cosa hanno fatto Wong e colleghi
Prima di tutto hanno creato dei sensori basati su nanotubi che reagiscono con l’attenuarsi della fluorescenza agli infrarossi alla presenza di nitroaromatici, poi li hanno impiantati in foglie di spinaci. in pratica se nell’ambiente ci sono composti nitroaromatici che sono alla base di molti esplosivi le foglie osservate con un visore notturno agli infrarossi appariranno aver modificato il livello di luorescenza. Inoltre viene inviato anche un segnale wifi ad uno smartphone, ma come il sommario dell’articolo scientifico originale fa notare, il punto non è tanto lo specifico dell’esperimento, cioè gli esplosivi, ma l’aver dimostrato che è possibile bioingegnerizzare le foglie di spinaci per la rilevazione di sostanze disperse nell’ambiente, è immediatamente intuibile che basterà cambiare il tipo di sensore, cioè la sostanza a cui reagisce, per cambiare le sostanze di cui si vuole ricercare la presenza.
Se da un lato gli stessi autori dello studio non nascondono che ci sono ancora diverse questioni sia ingegneristiche che ambientali da risolvere prima di un’applicazione sul campo, dall’altro sono così convinti della strada intrapresa da aver fondato una società chiamata Plantea per studiare l’applicazione all’industria della loro tecnologia.
Roberto Todini