Il Gambia, uno Stato dell’Africa occidentale, ha recentemente attirato l’attenzione internazionale per una decisione significativa del suo parlamento. Una proposta di legge che mirava a revocare il divieto sulle mutilazioni dei genitali femminili in Gambia, in vigore dal 2015, è stata respinta con una larga maggioranza. Questo voto ha bloccato un tentativo controverso che, se approvato, avrebbe fatto del Gambia il primo paese al mondo a ritirare un divieto su questa pratica. La decisione arriva dopo mesi di tensioni e dibattiti intensi, evidenziando la complessità delle questioni culturali, religiose e dei diritti umani che circondano le mutilazioni genitali femminili.
Tensioni e pressioni internazionali
Il Parlamento di Banjul, nello Stato africano del Gambia, ha recentemente votato contro la proposta di legge che aveva come obiettivo quello di revocare il divieto di mutilazione dei genitali femminili. In questo modo, la legge è rimasta tale, senza subire alcuna modifica, dal 2015. Dopo mesi di dibattiti interni e internazionali, è arrivata una parziale vittoria per i sostenitori dei diritti umani.
Il 15 luglio, il parlamento del Gambia ha rigettato il progetto di legge che avrebbe annullato il divieto sulla mutilazione dei genitali femminili. Questa decisione è arrivata in un clima di forte tensione e sotto la pressione di organizzazioni per i diritti umani e delle Nazioni Unite, che avevano sollecitato i parlamentari a respingere il progetto di legge per preservare i progressi fatti negli ultimi anni.
Il dibattito parlamentare si è trasformato anche in scontri violenti, fisici e verbali, che poi si sono concretizzati in una votazione piuttosto parziale: 35 deputati hanno votato a favore del rapporto contro la mutilazione dei genitali femminili, mentre 17 si sono dichiarati contrari e due astenuti. La prossima votazione, quella definitiva, è programmata per il 24 luglio.
Divisione dell’opinione pubblica: ragioni della proposta di legge
Il dibattito sulla proposta di legge sulle mutilazioni dei genitali femminili ha spaccato l’opinione pubblica gambiana. Presentata dal deputato Almameh Gibba, la proposta definiva le mutilazioni dei genitali femminili come pratiche culturali e religiose profondamente radicate nel paese. Molti parlamentari però, inizialmente favorevoli, hanno cambiato idea durante la seconda votazione, respingendo tutti gli emendamenti con una larga maggioranza.
Il divieto di mutilazione dei genitali femminili fu introdotto nel 2015 dal dittatore Yahya Jammeh. Sebbene la legge abbia rappresentato un passo importante, la sua applicazione è stata limitata, con solo due persone condannate per averla violata. Il Gambia, con una popolazione di circa 2,6 milioni di abitanti, è una repubblica presidenziale a maggioranza musulmana. Le mutilazioni genitali femminili nel paese solitamente coinvolgono il taglio del clitoride e delle piccole labbra delle bambine e ragazze tra i dieci e i quindici anni. Queste pratiche sono considerate un rito di passaggio e hanno forti valenze tra uomini e donne dello Stato africano e non solo.
La Commissione parlamentare, creata appositamente lo scorso marzo per investigare il divieto e la proposta di legge contro questo, ha decretato infatti di voler mantenere la legge del 2015: tra le ragioni, la Commissione ha dichiarato che “la mutilazione genitale femminile non è islamica ma è un’usanza e credenza tradizionale”, suscitando non poco malcontento nel paese.
L’introduzione del divieto nel 2015 contro le mutilazioni dei genitali femminili era stata considerata un modello di legislazione progressista a livello mondiale. La potenziale abrogazione della legge avrebbe rappresentato un pericoloso precedente, minando i progressi fatti nella protezione dei diritti delle donne e delle ragazze e la loro autodeterminazione dei corpi. Le organizzazioni per i diritti umani temevano che il Gambia diventasse il primo paese al mondo a fare un passo indietro su questo fronte.
Conseguenze per la salute
Le mutilazioni genitali femminili comportano gravi rischi per la salute, tra cui infezioni, emorragie, infertilità e complicazioni durante il parto. Nonostante il divieto, il 73% delle donne gambiane tra i 15 e i 49 anni ha subito questa pratica, secondo i dati dell’Unicef. Il Gambia inoltre è uno dei paesi che più pratica le MFG, identificate e definite dall’intera comunità internazionale come una grave discriminazione nei confronti del corpo delle donne, oltre che violazione dei diritti imani.
Le mutilazioni dei genitali femminili sono “parte della cultura” e costituiscono, nella consuetudine gambiana e africana, “un rito di passaggio” in cui le ragazze adolescenti diventano donne. Questo è il messaggio che passa attraverso la popolazione, ma, secondo attivisti per i diritti umani, si tratta solamente di una violazione grave e simbolica di una società fortemente patriarcale e maschilista.
Le lotte per la difesa dei diritti umani
Gli stesso sostenitori dei diritti umani hanno esortato il governo gambiano a rispettare gli obblighi internazionali e a mantenere il divieto. Hanno inoltre chiesto il rafforzamento degli sforzi per prevenire e affrontare la pratica delle mutilazioni genitali femminili attraverso meccanismi di applicazione robusti e interventi mirati con le comunità, compresi uomini e ragazzi.
La decisione del parlamento di respingere la proposta di legge sulle mutilazioni dei genitali femminili è stata accolta con sollievo da molte organizzazioni internazionali, che vedono in questo voto un passo importante nella continua lotta contro la violenza di genere. Mantenere il divieto è cruciale per proteggere i diritti e la dignità delle donne e delle bambine nel Gambia e nel mondo.
Questa lotta, nella sua declinazione intersezionale, non si limita solamente al divieto delle mutilazioni dei genitali femminili in Gambia; anche nel paese del Sierra Leone, da poco è stata promulgata una legge che vieta i matrimoni precoci.